Bloody Facebook – Chapter 3
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Il maggiore Longobucco aveva appena terminato di vedere, sul monitor del PC del colonnello Lo Presti, il video macabro girato dall’assassino. Il capo RIS stava in piedi di fianco al comandante della Caserma seduto alla sua scrivania. Atropo era vestito di rosso e sembrava proprio l’incarnazione del diavolo tipica dell’immaginario umano, con tanto di coda e corna a trentadue dentoni giallastri.
– Secondo il mio parere, la vittima è stata costretta a vedere non solo Atropo, ma anche qualcos’altro- disse Longobucco.
-Certo maggiore, quasi sicuramente. Le mostro un fermo immagine ingrandito delle pupille della ragazza. Nonostante la vittima abbia gli occhi coperti dagli schermini traforati, può notare che le sue pupille sono indirizzate a osservare verso una direzione ben precisa.-
-È vero- confermò Longobucco e aggiunse:
-Evidentemente è una forma di tortura psicologica punitiva. Approfondiremo in modo più dettagliato il discorso non appena la mia squadra avrà esaminato il luogo del delitto.-
Proseguì il colonnello, fissando attentamente il monitor del PC, come se dovesse cercare di scoprire qualche altro dettaglio utile all’indagine:
-A proposito, sto attendendo una chiamata dai miei uomini non appena lo avranno trovato. Probabilmente l’omicidio è avvenuto in Monza o provincia, altrimenti non si spiegherebbe il motivo del ricevimento del drone proprio nel nostro Comando.-
«È sicuramente una sfida che l’assassino ha voluto lanciarci» disse Longobucco. Lo Presti si voltò guardando negli occhi il maggiore e concluse: «Atropo ci ha dato volutamente un indizio circa tale luogo, scegliendo un posto dove si sente musica grunge-rock; sarà questione di minuti perché a Monza i locali di questo genere sono solo due: uno è la birreria Party Night e l’altro è il Music Drink Rock.» Non appena il comandante pronunciò queste parole, seguirono degli istanti di silenzio in cui i due uomini si osservarono pensierosi e con sguardo preoccupato.
Longobucco notò che Lo Presti aveva la barba ancora più incolta del giorno precedente e i capelli tinti di nero erano molto spettinati; inoltre i suoi occhi azzurri erano contornati da evidenti borse di stanchezza che gli mettevano in evidenza un naso a patata ancora più grosso del solito. A un certo punto squillò il telefonino del comandante…
“Pronto? Lo Presti, ok saremo lì in un attimo.”
– Eccoci maggiore, attivi subito la sua squadra presso lo stabile in Via Statuto 23, è proprio dove c’è la birreria Party Night. I miei uomini vi attenderanno all’ingresso.-
Longobucco chiamò il capo squadra indicandogli l’indirizzo e, non appena staccò la chiamata, salutò il colonnello dirigendosi, in una frazione di secondo, alla porta di uscita dell’ufficio.
Non appena il Capo RIS di Parma ebbe terminato il sopralluogo del luogo del delitto, con la sua squadra, si recò all’Hotel Iris di Agrate Brianza per cenare e riposarsi. Ogniqualvolta che gli veniva affidata una nuova indagine su un caso criminoso, pensava già nella mente del serial killer, il suo profilo psicologico. Si immaginava la sua dimora, probabilmente lugubre e impregnata di aria funesta. L’assassino solo e senza coscienza e senza rimorsi.
E come in ogni indagine, il capo RIS di Parma ci azzeccava.
In un’abitazione, nell’oscurità, l’assassino stava dormendo e sognava:
“Cammino tra nuvole nere in mezzo al fuoco, c’è gente che ride, vedo solo i loro occhi e la loro bocca. Cammino ma non ho la percezione di camminare, sono sempre immobile. Allora cerco di correre per allontanarmi e sento sempre sghignazzi malefici intorno a me, che diventano sempre più insistenti alle mie orecchie. Corro, corro e corro ancora ma sono sempre immobile. Dove mi trovo? Sono forse morto e sono all’inferno? Ma allora sono morto senza rendermene conto? Allora l’inferno esiste davvero? … “
Lo squillo dello smartphone svegliò Atropo dal suo incubo. Il chiamante dovette attendere almeno sei squilli prima di ottenere una risposta secca:
” Sì!… ” E lui rispondere:” Tutto ok”.
Atropo attendeva una segnalazione dal fedele Adrian che i RIS avessero trovato il luogo del delitto. Si alzò dal divano e andò in bagno per farsi una doccia. L’acqua scivolava calda sulla sua pelle, esaltando i tatuaggi sparsi su tutto il suo corpo; in particolare, un tatuaggio oceania che, partendo dal petto, proseguiva sulla spalla sinistra, mentre sulla spalla destra appariva una maschera stilizzata. Entrambi i polpacci erano ricoperti da disegni polynesian. Tatuaggi indelebili come i mostri impadronitosi della sua anima. Il vapore risaliva copioso dalla cabina doccia facendola sembrare, vista dall’alto, come un piccolo vulcano ripieno di lava. Magma di pensieri maligni e vapore congiuntamente sparsi in tutto il locale fino a ricoprire, con una patina, tutte le superfici. Atropo uscì dal box doccia e aprì la finestra. Lo strato di vapore iniziò, pian piano, a liberare tutte le pareti del bagno lasciando scie di fantasmi stilizzati. Lo smartphone squillò ancora, ma questa volta la risposta fu data subito dopo il primo squillo:
“Sì!” E il fedele Adrian: “Tutto ok” .
La seconda telefonata era per segnalare che quest’ultimo stava già pedinando la seconda preda da giustiziare.
Intanto anche Longobucco si stava facendo la doccia. Era per lui un rito di purificazione dalla contaminazione maligna più che pura igiene personale. Come gli era già successo nel passato, chiudendo gli occhi vedeva il volto dell’assassino, nel suo immaginario: viso impassibile e senza espressioni, emozioni; come se il killer avesse una maschera di gomma imperscrutabile. Il maggiore chiuse l’acqua e rimase con entrambi i palmi delle mani, sopra la sua testa, appoggiate sul vetro del box doccia a osservarsi. L’uomo sentiva le gocce d’acqua che scendevano lungo la pelle del viso e osservava quelle sparse sul vetro che colavano verso il basso come se fossero il presagio di pianti e lacrime dei parenti delle prossime vittime del killer. A un certo punto, quando dopo alcuni secondi stava quasi evaporando tutta l’umidità sul vetro, ebbe un breve sussulto al cuore: non vide specchiarsi il suo viso bensì quello immaginario di Atropo.
L’incontro di Federico con il nuovo cliente fu molto positivo. Aveva in mano un bell’assegno di anticipo per il lavoro concordato. Non appena chiuse la porta, dopo aver accompagnato il cliente all’uscita, lo sventolò rivolgendosi al socio:
-Allora zio cosa ne dici? Cinquemila euro, mica male no?-
Lo zio rispose con un ennesimo mugugno. In qualsiasi circostanza, sia positiva che negativa, la sua reazione era sempre la stessa. Federico si ricordò quando, insieme a lui, andò a vedere gli scrutini degli esami di maturità. Federico prese quarantotto/sessantesimi e fece un gran salto dalla gioia, mentre Gabriele prese sessanta/sessantesimi e lode e sembrò che avesse letto un necrologio di un cugino di secondo grado: era indifferente, come se niente fosse accaduto. Poi si ricordò quando riuscì a combinare l’incontro tra il suo amico e una ragazza brutta quanto lui (forse lei era anche più bellina), e di come la cosa non andò a buon fine perché Gabriele, oltre a essere brutto, era anche molto asociale. Per tutti questi motivi, Federico era convinto che il suo collega fosse ancora vergine; però gli voleva bene: era il suo amico del cuore. Dopo questo flash back, Federico andò a raccogliere il suo giaccone da terra e salutò Gabriele:
-Ciao zio, vado in banca a incassare l’assegno, ci vediamo a pranzo.-
Uscì dalla porta e si diresse verso il parcheggio, sito nel cortile interno; giunto alla portiera della sua utilitaria pensò ancora all’occasione persa con la gnocca Brasiliana. Al tempo stesso, immaginò che, ovviamente, la ragazza potesse abitare in zona, non molto lontano da casa sua; poteva, quindi, presentarsi ancora l’occasione per incontrarla e, a quel punto, non se la sarebbe lasciata sfuggire. Si sedette e fece un WhatsApp ad Alina:
“Ciao Alina come va? Tutto bene? Sono un po’ di giorni che non vedo i tuoi post nel nostro gruppo Facebook. Poi gli cadde l’occhio su un cartoncino bianco infilato fra le caramelle, sparse nello scomparto vicino al cambio. Lo prese in mano e vide che era un biglietto omaggio per una consumazione gratuita presso il locale Lap Dance Sensation di Sesto San Giovanni; pensò che, naturalmente, non fosse capitato lì per caso e disse a voce alta: che botta di culo!”
Il maggiore Longobucco ritornò in caserma a Monza. Aveva il rapporto della squadra RIS ove si era verificata la mattanza. La squadra investigativa l’attendeva nell’ufficio del comandante Lo Presti. Entrò senza dover bussare perché la porta era già aperta; la chiuse e si sedette sull’unica sedia libera.
– Bentornato maggiore, le presento il dottor Antonio Garbin, consulente investigativo, il medico-legale Maria Viganò, la criminologa Matilde Vergani e il maresciallo maggiore Vincenzo Iannone che si occuperà degli interrogatori delle persone collegate alla vittima. Immagino conosca la dottoressa Vergani dai tempi del vecchio caso del delitto Ballarini.-
-Sì, certo. Ciao Matilde, come va?» Mentre pronunciò quella frase convenzionale, constatò come lei fosse sempre una donna affascinante e irresistibile e sentì che emanava ancora quel profumo squisitamente sensuale. «Tutto bene Salvo; vedo che non sei invecchiato, a parte qualche capello bianco.-
Anni addietro, il maggiore e la criminologa ebbero un’intensa relazione amorosa che, poi, non ebbe un seguito per incompatibilità di carattere. Intervenne nuovamente il colonnello Lo Presti: «Dalla verifica del video, e grazie alla collaborazione tempestiva della Questura, abbiamo già accertato l’identità completa della vittima. Si tratta di Alina Makarov, proveniente da Mosca. Era ufficialmente in Italia con un permesso di soggiorno, concesso grazie al lavoro di badante.» E chiese al maggiore Longobucco:
-Avete trovato già qualche dettaglio significativo sul luogo del delitto?-
Il capo RIS rispose :
-La vittima è sempre stata seduta sulla sedia e legata, come abbiamo avuto modo di vedere nel video girato dall’assassino. L’omicidio è avvenuto con un solo colpo brutale di forca, che ha trafitto contemporaneamente il cuore e i polmoni. Sembrerebbe che l’assassino non abbia lasciato nessuna traccia. Sicuramente ci saranno impronte digitali appartenenti alle persone che avevano frequentato l’appartamento. Immagino che il dottor Lo Presti abbia già verificato che l’appartamento non era abitato perché in vendita.-
Il comandante confermò che era stato messo in vendita pochi mesi prima dagli eredi del proprietario defunto, e chiese ancora al capo dei RIS:
-Riguardo, invece, alla posizione della vittima, obbligata a guardare in un determinato punto, non è stato rilevato niente?-
Longobucco rispose :
-Purtroppo no. C’è giusto un segno di trascinamento, lasciato nella pozza di sangue antistante la vittima, forse da un treppiedi sul quale poggiava qualcosa. Posso, però, già fornire elementi importanti circa il profilo dell’assassino. Sicuramente non agisce da solo, si avvale dell’aiuto di almeno una o due persone. Probabilmente non ha meno di cinquanta anni, è colto, istruito, benestante, con molta disponibilità economica, è forte fisicamente e, come abbiamo potuto constatare dal modus operandi, possiamo ipotizzare che abbia ucciso spinto da sete di vendetta.-
Mentre Salvatore descrisse il profilo di Atropo, Matilde sentì ribollire nel suo intimo il risveglio di emozioni sopite da tempo. Già sapeva che le prime tracce di un profilo elaborate da Longobucco erano quasi sempre azzeccate e ciò rendeva a lei il lavoro più facile. Lavoro che, sperava, fosse poi continuato fra le lenzuola come ai vecchi tempi. Matilde era pazza di Salvatore e, dopo di lui, non aveva trovato nessun altro uomo alla sua altezza.
Intervenne di nuovo Lo Presti:
-In questa sede apriamo il fascicolo che denominiamo Atropo; al riguardo, mi raccomando di tenere il più stretto riserbo con i giornalisti. Data la particolarità di questo omicidio così efferato, è
meglio tenere il più possibile alla larga l’opinione pubblica. Vi ringrazio signori per la vostra tempestiva disponibilità e vi auguro buon lavoro.-
Si alzarono tutti per uscire dall’ufficio e salutarono il colonnello; Matilde salutò Salvatore dandogli dei baci sulle guance e, contemporaneamente, gli mise un biglietto nel taschino della giacca.
Un corvo stava volando sopra il centro di Monza. Era una mattina senza nebbia, ma il sole già sorto a est non riuscì a forare le nuvole grigie, ricche di smog e umidità invernale. La luce della gigantesca stella si vedeva dietro i vapori nebulosi, molto flebile, come una lampada dai vetri offuscati. Gli occhi del volatile nero guardavano attenti i tetti delle case ravvicinate e alternate da vie percorse da poca gente, che sembrava camminare in un labirinto senza sbocco d’uscita. A un certo punto, gli edifici residenziali si diradarono lasciando spazio ad abbondante verde e marroncino. Era la boscaglia che faceva parte della cornice del grande quadro naturale, che si presentò sotto il lungo becco del corvo. L’uccello arrivò sopra Villa Reale che lasciò, dopo pochi secondi, per posarsi sopra una ramo quasi completamente spoglio e osservò un uomo che era seduto sopra una panchina.
Atropo osservava i flebili raggi del sole che, faticosamente, accarezzavano i rami spogli delle querce. Ai suoi occhi gli sembrò che fosse sera, più che mattina e pensò che, ogni giorno, splendente o sgraziato che fosse, avesse naturalmente fine con il tramonto; così come, allo stesso modo, per ogni persona, indipendentemente dal fatto che fosse ricca, povera, bella o brutta, arrivasse anche per lei l’inevitabile conclusione della vita terrena. Se veramente esisteva un Dio allora questa era la cosa più buona e giusta che avesse mai creato.
-Ciao padre, Romeo Cosentino è sotto controllo.-
Arrivò il fedele Adrian che si sedette sulla panchina al suo lato sinistro.
Atropo non era suo padre ma lo considerava come tale: quando era ancora un bambino lo aveva salvato dalla mafia Russa e, successivamente, adottato come se fosse suo figlio.
-Ciao caro Adrian, possiamo fidarci di Annika?-
-Certo padre, qualora dovesse tradirci, sappiamo dove si trova la sua famiglia, a San Pietroburgo e lì abbiamo degli agganci, basta una telefonata per annientarla. Comunque, anche lei, ha un conto in sospeso con la cosca dei Cosentino. È perfetta, assomiglia come una goccia d’acqua ad Alina, la ragazza di Romeo. Per lei sarà una passeggiata entrare nelle grazie della nostra preda: Cosentino ha un debole per le donne dell’est e ha già dato per dispersa la sua ragazza.-
Atropo aveva sempre lo sguardo fisso sui rami delle querce e intravide un corvo che gli sembrò che lo stesse osservando. Dopo aver meditato qualche secondo disse:
-Già, abbiamo tenuto Alina sotto sequestro per una settimana, prima di portarla in quell’appartamento e giustiziarla. Quel pezzo di merda di Romeo Cosentino ci ha messo poco per dimenticarla, considerandola di fatto la sua personale prostituta, più che la sua ragazza.-
Adrian, guardando anche lui fisso verso i rami delle querce, disse:
-Alina ha fatto la giusta fine che meritava!»
-Certo-rispose Atropo, che continuò:
-Alina ha tradito la piena fiducia della mia Agata portandola in una trappola mortale terrificante.-
-Mi dispiace tanto padre che tu soffra così per la perdita della tua amata figlia, spero che la vendetta possa placare le tue sofferenze.-
-No Adrian! Non voglio alleviare le mie sofferenze. È la giusta punizione per i mali che ho causato ad altri nel passato.-
Mentre Adrian sentì pronunciare queste ultime parole, girò la testa alla sua destra e non vide più Atropo, dissoltosi come un’ombra.
Federico arrivò a casa intorno alle venti e dieci. Prima di togliersi le scarpe, guardò il suo smartphone per vedere se avesse ricevuto un WhatsApp di risposta di Alina ma trovò solo il proprio messaggio, inviato qualche ora prima. Mah! Pensò. Solitamente Alina risponde abbastanza tempestivamente ai miei messaggi. Così si sedette sul divano e si collegò alla App di Facebook. Aveva voglia di svagarsi un attimo e non pensare a niente. Fece scorrere i post di un gruppo di cui era membro (Ironia leggera su Facebook) e si mise a sorridere leggendoli:
“A Facebook manca il tasto Non era per te.”
“Fra un po’ su Facebook ci saranno stati del tipo: Sono incinta! Metti mi piace se vuoi che lo tenga. Commenta se pensi che debba abortire. Condividi se pensi di essere il padre.”
“Su Facebook ci vorrebbe il tasto Ma parli proprio tu?”
“Che fai nella vita?
– Regalo piccole emozioni a persone con problemi.
– Oh, terapia del sorriso?
– No, metto dei “mi piace” a caso su Facebook.”
“Non scrivere i tuoi problemi d’amore su Facebook. Se non interessa a lei, immagina a noi.”
Federico scosse la testa sempre col sorriso sulle labbra e appoggiò il cellulare sul comodino e dallo stesso afferrò il telecomando. Accese la televisione e cambiò distrattamente e velocemente i canali finché tenne la sintonia su quello che dava le notizie H. 24/24. Tolse l’audio, appoggiò il telecomando sul divano e afferrò di nuovo lo smartphone per ordinare una pizza d’asporto. Mentre parlò al cellulare chiedendo una pizza ai 4 formaggi, vide che al telegiornale stavano mostrando la birreria Party Night di Monza e, subito dopo, inquadravano una finestra posta agli ultimi piani di un palazzo d’epoca. Incuriosito dal servizio, afferrò con l’altra mano il telecomando e alzò l’audio…
“È stato commesso un brutale omicidio in uno stabile d’epoca di Monza, al momento sappiamo solo che la vittima è una ragazza dell’est Europa, le forze dell’ordine mantengono il più stretto riserbo e ora passiamo alle notizie sportive…”
“Mah!” Pensò di nuovo Federico.
“Una ragazza dell’est Europa proprio come Alina e altre ragazze del mio gruppo Facebook, poverina.”
A un certo punto, decise che non voleva più pensare ad Alina e a Facebook e si concentrò sulla serata che avrebbe passato con Rebeca. Pensò intensamente alla bionda brasiliana ma, allo stesso tempo, non voleva fare troppi sogni erotici a occhi aperti. Voleva stare con i piedi per terra. Rebeca poteva essere impegnata con un altro uomo nonostante quell’esplicito invito al night. Doveva, poi, appurare che lavoro facesse in quel posto: poteva essere una barista anziché una spogliarellista. Federico non vedeva l’ora che arrivassero le ventitré per andare al locale Lap Dance Sensation e verificare tutte le ipotesi che gli frullavano nella testa, insieme alle sue idee libidinose. Cominciò ad avere un grande appetito e guardò il suo orologio più come gesto involontario che per necessità: sapeva, infatti, che era ancora presto per l’arrivo del ragazzo della pizza. Mentre osservava, come in trance, lo scorrere delle lancette, squillò il suo cellulare; vedendo che si trattava di chiamata con numero non conosciuto, rispose con perplessità.
-Si, Pronto? Sì sono io, ok va bene, ma a qualsiasi ora va bene? Ok facciamo per le ore quattordici di lunedì allora, ma posso sapere di che cosa si tratta? Vabbè capisco, buonasera a lei.-
Federico aveva ricevuto la telefonata dal Comando dei Carabinieri di Monza, con la richiesta di presentarsi per rispondere a domande inerenti un’indagine della quale non potevano dargli spiegazioni per telefono. In pratica era obbligato a recarsi da loro come persona informata dei fatti.
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Capitolo supertop
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