>CAPITOLO 16 < BLOODY FACEBOOK

Bloody Facebook – Chapter 16

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Federico e Rebeca fecero pace e decisero di convivere. Acquistarono una nuova abitazione nel centro di Monza ma, finché non fu pronta, arredata, vissero nella casa di lei. La villa che fu di suo padre Andrey doveva rimanere a sua completa disposizione, perché nascondeva troppi segreti, oltre a essere il suo covo. Il covo di Atropo e Adrian. Il rientro al lavoro poteva attendere, anche perché non aveva necessità di denaro. Tuttavia, desiderava che il suo studio, Engineering k2, continuasse l’attività: lo doveva al suo amico Gabriele, appassionatissimo di informatica. Federico Bond, invece, aveva una missione da completare, assolutamente. Doveva pianificare al meglio la vendetta. Il primo obiettivo era Giuseppe Cosentino, rilasciato dai giudici, ma in attesa del processo per i fatti di droga di Genova e, quindi, costretto in libertà vigilata. Passarono ancora alcuni giorni grazie ai quali Federico si rimise in sesto fisicamente. Fece ore e ore di palestra nella villa di suo padre. Adrian era un personal coach molto tosto e severissimo. Flessioni a non finire, addominali, esercizi alternati su tutti gli attrezzi e aumento graduale dei pesi fino a raggiungere il massimo livello di sforzo. E, poi, combattimenti corpo a corpo con tecniche che Adrian aveva imparato da Andrey, il quale, a sua volta, aveva appreso durante la sua preparazione militare in Russia. Federico apprese velocemente e, una volta impratichito in uno schema di lotta, subito passò al successivo. Bond doveva essere forte, atletico, pronto, sia nel fisico sia nelle mente, per poter affrontare al meglio i Cosentino; senza peraltro, dimenticare l’ultimo tassello di quella triste e drammatica storia: 

Silvio Ruggeroni.

Allenamenti al mattino e al pomeriggio, che si alternavano a parecchie ore di lezione di tiro nel salone, trasformato in un poligono simile a quello della polizia, adiacente al covo sotterraneo della villa. Tiro a segno con pistola automatica e semiautomatica, fucile mitragliatore, mitragliatrice e fucile di precisione del modello usato dai cecchini militari russi. 

Tornava a casa, dalla sua amata, a tarda sera. Rebeca non doveva conoscere il suo segreto, il piano diabolico di Atropo. Gabriele lo copriva, facendo credere alla ragazza che Federico fosse al lavoro nello studio. All’hacker non importavano i motivi che stavano a monte di quelle bugie e Federico lo adorava anche per questo motivo. Il Tour de force imposto da Adrian giunse al termine; ormai Federico stava superando il maestro, soprattutto nei combattimenti corpo a corpo. Si sentiva forte come un leone e psicologicamente pronto per le battaglie contro il nemico. 

-Bene Federico, posso dire che sei pronto.-

-È tutto merito tuo Adrian. Allora possiamo contare sull’aiuto della squadra speciale già commissionata da Andrey nell’imboscata di Genova?- 

-Certo, sono professionisti che si sono dimostrati pienamente all’altezza. Entreranno in azione per primi, eliminando gli uomini di Giuseppe Cosentino nella sua tenuta di Vimercate. È necessario il loro aiuto perché quelli di Cosentino saranno parecchi, preparati e disposti intorno alla tenuta, e anche all’interno. 

Giuseppe teme un attacco dagli uomini di Carmelo Benetti in quanto, quest’ultimo, è convinto che Cosentino l’abbia imbrogliato con il carico di droga di Genova.-

-Ok Adrian, quando entreremo in azione?-

-Fra tre giorni fratello.-

Finalmente arrivò il giorno tanto agognato dai “fratelli” Federico Bond e Adrian. Era l’una di notte. La squadra composta dai sei uomini delle forze speciali russe entrò in azione contro le guardie di Giuseppe Cosentino, che erano di ronda all’esterno della tenuta di Vimercate: vennero abbattute, una dopo l’altra, come birilli. Gli uomini di Atropo erano dotati di mitragliatrici col silenziatore. Terminata la prima fase di attacco, uno dei sei commandos  fece segno a Federico e Adrian di iniziare ad avanzare verso l’abitazione del malavitoso. Passarono, così, alla seconda fase del piano: indossata la maschera antigas, sfondarono la porta e lanciarono all’interno dell’edificio una serie di bombolette di gas lacrimogeno. Passati circa trenta secondi, i russi entrarono ed eliminarono altri uomini; poi, seguiti da Federico e Adrian, giunsero alla porta dietro alla quale era rintanata la preda da giustiziare. Anche quell’ostacolo venne sfondato e gli assalitori lanciarono nella stanza altre bombolette di gas. La squadra, compiuta la propria missione, lasciò la terza fase delle operazioni a Federico e Adrian. Giuseppe Cosentino era a terra, tramortito dai gas; vicino a lui, giacevano quattro uomini inermi. Federico, per dimostrare al suo maestro di aver imparato bene la lezione, nonché per rompere il ghiaccio, li uccise tutti e quattro a sangue freddo, utilizzando la sua Beretta automatica APX. Un solo colpo per ognuno, direttamente al cranio. Adrian rimase esterrefatto da tanta crudele freddezza e disse:

-Bravo fratello! Ora conciamo per le feste questo pezzo di merda.-

Spalancarono le finestre e spogliarono completamente nudo il condannato a morte, dopodiché lo misero seduto e ben legato a una sedia. Infine, gli misero dietro la schiena un semiasse di legno e fissarono, con una fascia, la sua testa allo stesso, affinché fosse obbligato a volgere lo sguardo in un’unica direzione. Una volta ben arieggiata la stanza, chiusero le finestre e si tolsero la maschera antigas; Federico indossò l’abito e la maschera del demone e si mise un solo guanto in pelle nera sulla mano sinistra. Era un guanto particolare, di pelle spessa, rigida, che simulava una protesi. Adrian piazzò, davanti a Giuseppe Cosentino, il treppiede e appoggiò sopra di esso il computer pronto per la riproduzione del video. Gettarono una secchiata d’acqua gelata in faccia al mafioso, che si svegliò all’istante e, mentre Federico-Atropo fissava gli schermini di metallo traforato sulle sue palpebre, Adrian azionò la riproduzione del video di Agata da bambina che giocava a nascondino. 

Federico-Atropo si rivolse a Cosentino:

-Ciao bastardo, ti ricordi di me?-

Cosentino era frastornato, con la vista annebbiata, di fronte a lui stava il diavolo che gli disse: 

-Ciao stronzo. Sono Atropo. Eccomi qui per continuare e concludere quello che avevamo appena cominciato a Ovada.- 

Il prigioniero del demonio si sentì il sangue raggelare e lanciò un urlo di terrore: 

-Non è possibile! Tu non puoi essere ancora vivo!-

-Ebbene sì, fetente, il diavolo non può essere ucciso. Ora mi dirai dove si è nascosto tuo fratello Calogero. E, visto che, sicuramente, non parlerai con le buone, ti farò cantare con le cattive, e sì che canterai, te lo assicuro!-

Adrian si fece consegnare da uno degli uomini della squadra un sacco di iuta pieno di qualcosa che dentro ballava all’impazzata. Lo aprì quel tanto che bastava per non farne uscire il contenuto, lo infilò sulla testa di Cosentino e glielo strinse bene al collo. 

Federico-Atropo disse:

-Divertiti un po’ carogna, vediamo se ora non mi dirai dove si trova tuo fratello. Sono una ventina di piccoli soricidi, ovvero toporagni che ti provocheranno dolori strazianti.-

Mentre Federico-Atropo pronunciò quelle parole, Cosentino lanciò urla terrificanti. Passarono solo pochi secondi e il prigioniero supplicò che gli togliessero il sacco: avrebbe parlato. 

Adrian gli liberò la testa e scoprì un viso ricoperto da tagli e sangue grondante.

-Agriturismo Giannichedda, sulle colline della Brianza a Campsirago- disse Cosentino con voce tenue e dolorante. 

-Ora posso azionare la ripresa video. Procedi pure al rito conclusivo fratello: fa vedere bene la tua mano sinistra col guanto di pelle nera.-

Federico-Atropo ebbe un attimo di titubanza, di compassione, ma, subito, gli venne in mente l’incubo ricorrente in cui suo padre gli diceva… figlio mio aiutami, ti prego, continua la mia vendetta, ti prego!… Così prese con la mano destra la tenaglia passatogli da Adrian e tranciò di netto tutto l’apparato genitale di Cosentino. Subito dopo afferrò la forca e trafisse, in un solo colpo, il suo petto. Le urla strazianti del condannato terminarono, al pari del breve video, pronto per essere inviato, col drone Atropo, al Comando dei Carabinieri di Monza.

Definizione di Deja vu: sensazione di aver già visto o vissuto ciò che si sta vedendo o vivendo in un dato momento.

“Pronto? Lo Presti!”

Erano le cinque del mattino e il comandante ricevette una telefonata dal carabiniere del turno di notte.

“Pronto, cococomamandante sssono Dididigegennannaro…” il carabiniere scelto Di Gennaro tartagliò dall’agitazione.

“Che c’è Di Gennaro?! Ora non riesci nemmeno più a parlare?! Che ti succede?!” 

Il carabiniere fece un sospiro, si calmò e riuscì a parlare: 

“Mi scusi colonnello, non ci crederà ma è appena atterrato nel cortile del Comando il drone Atropo.”

“Come?! Come è possibile?! Ok arrivo subito, non toccate niente, mi raccomando!”

Alle nove e quarantacinque arrivò in Caserma, direttamente da Parma il maggiore Longobucco. Entrò nell’ufficio del comandante dove erano già seduti i sostituti della criminologa Vergani e del detective Garbin.

 – Buongiorno maggiore, le presento la criminologa dottoressa Lorena Donati e il detective dottor Carlo Bianchi. Le comunico subito che sono compagni di vita, oltre che colleghi. Proprio quando li assunsi, in sostituzione dei poveri Vergani e Garbin, si conobbero e iniziarono a frequentarsi. Devo riconoscere la loro correttezza professionale nel comunicarmelo, onde evitare spiacevoli equivoci.-

Mentre Lo Presti diceva… poveri Vergani e Garbin… Longobucco provò un breve momento di intensa commozione pensando a Matilde, accompagnato da un breve rigurgito di disgusto pensando ad Antonio. Il comandante era riuscito a mantenere il più stretto riserbo riguardo al fatto che Garbin fosse un corrotto. Il buon nome dell’Arma dei Carabinieri andava sempre e comunque tutelato, così l’opinione pubblica rimase all’oscuro di tutto. Lo Presti fece partire il macabro video di Atropo. Sia il colonnello sia il maggiore guardarono il breve filmato quasi con distacco, essendo già abituati, purtroppo, ad assistere alle carneficine commesse da quel demone; al contrario, Donati e Bianchi non riuscirono a nascondere i loro sguardi inorriditi. 

-È incredibile, impossibile, che Andrey Bykov si sia salvato!- disse Longobucco, che proseguì: 

-Cadendo nel dirupo dal Montozzo ha perso un avambraccio. Con quel freddo, sottozero, in quelle condizioni, è, ripeto, impossibile! Anche se dal video mi pare di vedere che, effettivamente, sembrerebbe indossare una protesi all’arto sinistro.- 

Intervenne la criminologa Donati:

-Non potrebbe trattarsi del figlio deciso a continuare la vendetta del padre?-

-Penso di no- disse Longobucco e proseguì : 

-Federico Bond non mi sembra proprio il soggetto che potrebbe emulare Atropo. L’ho conosciuto personalmente, dopo il ferimento dell’agguato alle Case di Viso, e non credo che sia riconducibile al profilo dell’assassino. Però mai dire mai, nei miei anni di attività ne ho viste di tutti i colori.-

Intervenne Lo Presti:

-Dottor Bianchi, direi, quindi, di tenere assolutamente sotto controllo fin da subito Federico Bond, tutti i ho movimenti e contatti telefonici. Intanto, lo convocherò al più presto per un interrogatorio per verificare i suoi alibi. 

Ok signori: dobbiamo riaprire il fascicolo Atropo, avvertirò subito il Procuratore Generale.-

Come aveva previsto, Federico Bond venne convocato d’urgenza, per un interrogatorio, dal comandante dei Carabinieri Lo Presti e dal Procuratore Generale. Si presentò al Comando con il miglior avvocato su piazza. Per avere un alibi circa la notte precedente, si era già accordato con il suo amico Gabriele. Avevano inventato lo stratagemma secondo il quale Gabriele e il suo compagno Alfredo volevano festeggiare il primo anno di unione e, pertanto, Federico era da loro a passare la serata; tuttavia, avendo bevuto troppo, era rimasto da loro anche a dormire. Gabriele aveva tenuto in custodia lo smartphone dell’amico acceso, così che eventuali verifiche delle celle telefoniche lo avrebbero collocato a casa sua. Rebeca, che era all’oscuro del piano, ricevette una telefonata da Gabriele il quale le spiegò che Federico non poteva rientrare: era ubriaco marcio e non poteva guidare. L’alibi risultò perfetto e l’interrogatorio durò poco. 

Nel frattempo, Adrian aveva cominciato a osservare i movimenti nell’Agriturismo Giannichedda a Campsirago, dove era rintanato Calogero Cosentino. Facendo finta di essere un cliente, entrò per pranzare nell’azienda agricola. Aveva subito notato, seduto al tavolo vicino all’ingresso del locale, un uomo corpulento; Adrian ritenne trattarsi, senza dubbio, di uno degli scagnozzi di Cosentino incaricato di sorvegliare il via vai di persone nel ristorante. Il vice-Atropo notò, altresì, un altro uomo, seduto a leggere il giornale, vicino alla cucina; e anche su di lui fece lo stesso ragionamento: era un altro tirapiedi sul libro paga del malavitoso fuggitivo. Adrian aveva imparato alla perfezione l’arte dello spionaggio da Andrey Bykov. A un certo punto, il vice-Atropo vide un cameriere uscire dalla cucina e lasciare, sul tavolo dell’uomo che leggeva il giornale, un portavivande termico. Adrian capì subito che cosa sarebbe avvenuto, perciò chiamò il cameriere, pagò rapidamente il conto e uscì in tutta fretta. Si accese una sigaretta e, dopo appena due tiri, vide l’uomo uscire dall’edificio con in mano il portavivande. Non appena questi giunse all’angolo dell’edificio per andare nella parte est del cortile, Adrian lo inseguì correndo e gli chiese: 

-Mi scusi, mi scusi, è da questa parte che ci sono gli animali?-

L’uomo, che stava quasi raggiungendo la porta di ingresso di una dépendance, si girò verso Adrian e, con sguardo stranito, gli disse:

-Gli animali non sono su questo lato del cortile, ma dall’altra parte; in ogni caso, poi, con questo freddo sono al chiuso, non li potrà vedere. Chieda comunque al proprietario.-

Adrian rispose: 

-Grazie, mi scusi per il disturbo.-

E vide, prima di girarsi per andare via, un uomo uscire dalla dépendance per prendere in mano il portavivande. Dedusse, pertanto, che gli uomini a guardia di Calogero Cosentino dovevano essere non più di quattro: due all’interno dell’agriturismo e due all’interno della dépendance annessa, dove era rintanato il fuggitivo. Adrian poté uscire soddisfatto dall’azienda agricola e si piazzò a circa cinquanta metri da essa con il suo automezzo, un grosso furgone camuffato da corriere celere. Entrò nella parte posteriore del veicolo e si sedette a un tavolino sul quale era posato un apparecchio molto simile allo stingray dell’ FBI. Si trattava di un apparecchio competitore russo, dotato di un’antenna telefonica in grado di intercettare tutte le telefonate e di ascoltare, nell’arco di almeno cinquecento metri, le conversazioni telefoniche. Con pazienza, per ore, Adrian ascoltò telefonate quando, finalmente, captò una conversazione interessante:

“Pronto? Sono io.”

“Che fai imbecille? Ti ho detto che non mi devi telefonare su questa linea! Cribio!” 

“Non me ne frega un cazzo Onorevole! Sto perdendo la pazienza, ti voglio qui domani, entro mezzanotte. Se non verrai con quello che ti ho chiesto spiffero tutto! Vado dai Carabinieri e faccio il pentito, il collaboratore di giustizia ok? Tanto, ormai, non ho più niente da perdere, le forze dell’ordine e gli uomini di Benetti fra poco mi troveranno, mi stanno ormai alle costole!”

“Va bene, domani verrò sicuramente con quello che mi hai chiesto, non fare pazzie mi raccomando!”

La conversazione telefonica si chiuse e Adrian, sfilandosi le cuffie soddisfatto, pensò che la notte seguente avrebbero finalmente terminato la vendetta di Atropo.

Spesso s’incontra il proprio destino nella via che s’era presa per evitarlo (Jean de La Fontaine). 

Arrivò finalmente il giorno fatidico. Federico rischiò il tutto per tutto. Chiese a Rebeca una prova d’amore. Lei glielo doveva. Doveva farsi perdonare la faccenda dell’inganno con il quale si erano conosciuti. Le chiese, quindi, di essere il suo alibi per la notte della vendetta, l’ultima maledetta notte di sangue. Lei, però, non doveva sapere, doveva rimanere all’oscuro di tutto per il suo bene. Con il tempo, Federico le avrebbe detto la verità e, se lei lo amava veramente come gli ripeteva sempre, lo avrebbe perdonato: il suo destino di uomo, ormai, era segnato. Convinse, pertanto, Rebeca a passare con lui la notte nella villa di suo padre. Naturalmente, sapeva che i detective del colonnello Lo Presti lo pedinavano. Dalla villa, poteva uscire, senza essere visto, attraverso il passaggio segreto sotterraneo. 

Mezzanotte e sedici. Adrian e Federico erano pronti ad assaltare l’ultima preda da giustiziare. I due erano all’interno del furgone corriere-espresso, usato in precedenza da Adrian, posizionato sempre a cinquanta metri dall’Agriturismo Giannichedda. I sei uomini delle forze speciali russe erano, invece, dislocati intorno alla recinzione dell’edificio, in attesa che arrivasse l’onorevole Silvio Ruggeroni con le sue due guardie del corpo. L’arrivo dell’automobile blu scuro venne segnalato, via auricolare, ad Adrian da uno dei commandos. 

-Fratello entriamo in azione!- 

Non appena l’auto blu entrò nel cortile dell’azienda agricola, due uomini della squadra-Atropo si piazzarono, strategicamente, all’esterno dell’edificio principale mentre gli altri quattro raggiunsero la dépendance.

Nel frattempo, Adrian e Federico arrivarono nei pressi dell’entrata del cortile, e rimasero in attesa di un segnale. Non appena Ruggeroni entrò nella dépendance con i suoi gorilla, uno degli uomini della squadra-Atropo eliminò l’unica guardia di Cosentino che presidiava l’entrata. Fu sufficiente un solo colpo alla testa, sparato con precisione da una pistola dotata di silenziatore e puntatore agli infrarossi. La stessa sorte toccò a un’altra guardia che stava uscendo dall’edificio principale. Liberato il campo, Adrian e Federico raggiunsero la dépendance dove erano già piazzati i loro uomini che sfondarono la porta e buttarono all’interno delle bombolette di gas lacrimogeni. Quindi, i commandos russi entrarono ed eliminarono tutte le guardie dell’Onorevole e di Cosentino. Dopo circa un quarto d’ora, i due si svegliarono completamente nudi e ben legati a delle sedie, affiancati e distanziati tra loro di circa tre metri. Davanti a quella strana coppia c’erano Federico-Atropo vestito da diavolo e Adrian vestito di nero col viso coperto. Al solito, Federico-Atropo indossava sulla mano sinistra il guanto che simulava una protesi. Sia il demone sia Adrian avevano, sotto la lingua, dei minuscoli distorsori sonori per camuffare la voce. 

-Allora, grandissimi pezzi di merda, finalmente siamo arrivati alla resa dei conti!- disse Federico-Atropo. 

Calogero Cosentino, da vero boss che non si piegava nemmeno davanti a Dio, non diede a Federico-Atropo la soddisfazione di stupirsi che lui fosse ancora vivo e disse: 

-Eccolo qua il nostro eroe vendicatore! Puoi farmi tutto quello che vuoi, tanto non ti darò mai la soddisfazione di chiederti pietà e, una volta che mi avrai ucciso, comunque ti attenderò all’inferno!-

-Mi sono rotto il cazzo Adrian!- disse Federico-Atropo, e aggiunse: 

-Metti un sacco sopra la testa di Barbieri in modo che non veda.- 

Mentre Adrian eseguì l’ordine, vide Federico-Atropo che si tolse la maschera da diavolo e gli chiese:

-Ma che fai fratello?-

Federico, a volto scoperto, guardò dritto negli occhi Cosentino e gli disse: 

-Hai visto chi sono, grandissimo verme?- 

Cosentino non riuscì a nascondere un certo stupore. Federico puntò la sua Beretta, munita di silenziatore, contro il condannato e gli sparò, in sequenza, al ginocchio destro, a quello sinistro, allo stomaco e alla fronte dicendo: 

-Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito… Santo.-

Federico aveva deciso di non mettere in scena il solito rituale di Atropo e Adrian lo capì. Capì che Federico aveva ereditato il gene di suo padre ma, giustamente, era diverso da lui. Eliminato Cosentino, Federico-Atropo e Adrian passarono a eseguire la condanna di Ruggeroni; condanna non fisica, bensì psicologica. L’Onorevole tremava dal terrore come un agnellino e piagnucolò: 

«Pietà, per favore pietà, non uccidetemi!» 

-Non preoccuparti, abbiamo in serbo per te una bella sorpresa- disse Federico-Atropo mentre appoggiò la punta del silenziatore della sua Beretta al testicolo dell’ultimo condannato. Adrian gli slegò le mani e le braccia, prese in mano il suo smartphone e gli disse: 

-Dammi il tuo codice PIN segreto.-

-Ma che cosa avete intenzione di fare?- chiese l’Onorevole allibito.

-Ho detto di darmi il tuo codice PIN segreto, non farmelo più ripetere!-

Ruggeroni pronunciò mestamente i numeri :  …05…02…67… 

Adrian azionò la sua App di Facebook ed entrò nella pagina pubblica dell’Onorevole. Poi gli impose di prendere in mano il passaporto falso che aveva fatto preparare per Cosentino e gli disse :

-Tienilo ben in vista, aperto, così che si veda bene la foto di quel fetente del tuo amico malavitoso!-

Prima di azionare la funzione di Facebook live, gli disse in tono sempre più minaccioso: 

-Ora dovrai raccontare in diretta a tutto il mondo Social  le tue nefandezze, a cominciare dalla tua amicizia con Alket Behrami, il malavitoso che ti riforniva le prostitute straniere, compresa la minorenne Mary; dei bonifici alle “olgettine” per farle stare zitte; del lavoro garantito a  Belen Martinez sulla tua rete privata, per farla tacere. Devi dichiarare l’identità del tuo prestanome e del titolare di questo passaporto falso che hai fatto preparare ad hoc per Calogero Cosentino. Ma quello a cui noi teniamo di più è che tu dica, ben scandito e chiaro, con la tua classica parlata di uomo raffinato, che eri a conoscenza dell’uccisione, dopo essere stata violentata da tutti e quattro ripetutamente, di Agata Bykov da parte dei fratelli Cosentino. Violentata e uccisa perché si rifiutò di prostituirsi. Lei, infatti, insieme ad altre ragazze giovani, fresche, appena entrate nel giro, era destinata alle tue famose serate bordello che si tenevano nella tua residenza.-

Ruggeroni confessò tutto, in diretta, al popolo Facebook e, al termine del filmato, Adrian girò lo smartphone  verso Federico-Atropo che disse:

-Ciao maggiore Longobucco! Come vedi, ora la mia vendetta è compiuta, non sentirai più parlare di me!-

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2 commenti

  1. Mary42 ha detto:

    Che finalone!
    Complimenti Carlo!

    "Mi piace"

    1. carlobianchiorbis ha detto:

      Grazie Mary… Ci sono ancora sorprese con l’epilogo!

      "Mi piace"

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