Greek Love – L’Amore Greco – Chapter 6
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Quel giorno pioveva a dirotto. La palla scorreva velocemente sull’erba dove non c’erano formazioni di pozzanghere, mentre, in queste ultime, si bloccava e si creava l’ammassamento dei ragazzi che davano calci alla sfera di cuio, insieme all’acqua sporca, mista terra.
Gli schizzi fangosi si sollevavano e si mischiavano con le gocce di pioggia, per poi cadere insieme e disperdersi nella pozza melmosa o sui corpi dei giovani luridi ma virtuosi.
Il pallone poteva restare parecchi secondi nella pozza piena di pioggia, finché finalmente ritornava sull’erba e l’azione riprendeva evitando gli ostacoli.
Ma quel giorno, in quell’assurda partita di calcio, il gol sembrava proprio una chimera.
Si trattava di un incontro calcistico della categoria Allievi (giovani dai 14 ai 16 anni) tra due squadre della stessa città (un derby): Vigevano. Una squadra era l’O.S.G. (acronimo di Oratorio San Gaetano); divisa maglie di colore giallo canarino; mentre l’altra era l’Aurora, compagine dell’Oratorio San Giovanni Bosco; divisa maglie di colore rosso sangue. Io giocavo come centrocampista nell’Aurora. Quella partita non doveva essere disputata ma, evidentemente, essendo uno scontro al vertice fra due contendenti che ambivano a vincere il campionato, c’era qualcuno che aveva imposto che l’incontro dovesse avvenire, perché c’era un intento losco per fare vincere una delle due squadre.
Intento losco e sporco come quel campo inzuppato di molto fango.
Come già raccontato assomiglio a Paolo Roberto Falcão come fisico e fisionomia ma non come bravura calcistica. Mentre il grande fuoriclasse brasiliano era una mezzala con spiccata propensione al gol, io ero un mediano con qualità difensive, con i piedi “a ferro da stiro”. Mentre i brasiliani avevano la tendenza a dribblare, io tendevo a liberarmi del pallone, il prima possibile per non commettere errori.
Comunque, quel giorno, la partita era adatta a giocatori di potenza e non certo di pura classe calcistica.
Sugli spalti in cemento armato, formati da tre gradoni lungo tutto il lato longitudinale del campo, c’era il pubblico formato da quasi tutti i genitori dei giovani calciatori.
Dal terreno di gioco si vedeva solo una moltitudine di ombrelli perlopiù di colore grigio e nero e si sentivano provenire da lì, delle urla:
– Arbitro cornuto!
– È rigore!
– Ammonire!
– Espellere!
– È Fallo!
– Arbitro ti aspettiamo fuori!
– Tira!
– È fuorigioco!
E fischi a non finire…
Insomma, la parola sportività, per essere una partita giocata fra giovani, in quell’incontro, sembrava che nessuno sugli spalti la conoscesse.
Per non parlare poi dei calciatori in campo:
C’era chi sputava addosso all’avversario, nei calci d’angolo, approfittando della pioggia incessante che copriva il liquido salivare che dalla bocca passava sul viso del contendente. C’era chi si spintonava per guadagnare spazio in area e magari poter depositare il pallone in rete più comodamente. Si vedevano volare anche degli schiaffi in faccia, di cui evidentemente l’arbitro non vedeva o faceva finta di non vedere.
Ma, un certo punto, l’uomo vestito di nero e stranamente con poco fango addosso, fischiò un calcio di rigore per L’O.S.G: era un calcio di punizione diretto, assolutamente inesistente. L’attaccante della mia squadra avversaria calciò un tiro potente col collo del piede. Il portiere dell’Aurora si buttò da una parte, mentre la direzione del pallone era centrale. Tanta esultanza e abbracci sotto la pioggia e l’estremo difensore Simone in ginocchio piangente. Io andai a consolarlo.
Ma come in tutti i derby che si rispettino, noi dell’Aurora non demordemmo e nonostante la fatica aggiunta per il campo impraticabile, continuammo ad attaccare.
Ci esponevamo ai contropiedi degli avversari finché, a circa mezz’ora dalla fine dell’incontro, il mio compagno di squadra Maurizio, che era un difensore muscoloso, riuscì a penetrare nell’area dell’O.S.G.; scartò un paio di giocatori e quando fu a tu per tu col portiere, venne atterrato da dietro…
“Rigore!”
Gridarono all’unisono dagli spalti.
Ma l’arbitro fece finta di non vedere.
Maurizio si alzò di scatto e anticipò i compagni per andare a quattrocchi dall’arbitro per reclamare. L’arbitro gli fece segno con la mano di allontanarsi ma il mio compagno, molto adirato, gli gettò in faccia del fango residuo che aveva sulla mano.
Espulsione, quindi un uomo in meno e così non riuscimmo a pareggiare.
Sconfitta!
Quel giorno mio padre Giulio non poté venire a vedermi giocare e gli raccontai dell’accaduto e anche quando a fine partita, il mio allenatore uscì dal campo di gioco e andò verso gli spalti da colui che riteneva essere l’artefice dell’evidente favoritismo arbitrale. Era un uomo di cinquant’anni che si occupava dell’assegnazione arbitrale per gli incontri giovanili calcistici della Lomellina. Guarda a caso era di Vigevano e bazzicava all’Oratorio San Gaetano.
Dovettero far intervenire i Carabinieri per calmare la situazione.
“Ricchezza o povertà, civiltà e società avanzata o retrograda, come ben vedi Ricardo, gli uomini di merda ci sono dappertutto” disse mio padre, e mi abbracciò con confortante calore.
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Sempre realistico. Bravo Carlo
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Il racconto è sempre di più interessante.
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Bello, complimenti
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Belle descrizioni, sembra di assistere alla partita di calcio.
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