>CAPITOLO 10< GREEK LOVE

Greek Love – L’Amore Greco – Chapter 10

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“La fiamma era ancora accesa
ma la cera era poca e poco promettente per l’ennesima notte perdente.
La mia speranza era riposta al chiaror del giorno seguente, ma lo stoppino ben conosceva il limite del suo destino inconsistente…perdonatemi Giulio, Ricardo e Monica”

Così scrisse mia madre, a mano libera, su un foglio lasciato sul tavolo della cucina, prima di suicidarsi. Un addio al mondo macabro e poetico, come nel suo stile di donna intellettuale, fino all’ultimo dei suoi giorni di vita. Aveva menzionato anche sua sorella Monica che abitava a Mortara, sempre nella provincia di Pavia.
Anche lei era sposata e aveva una figlia più giovane di me. Si chiamava Luisa ed era l’unica cugina che avevo. Ma, sia mia zia che Luisa li vidi solo al funerale di mia madre, perché non c’era attaccamento con la mia famiglia.
I genitori di Lucilla e Monica morirono qualche hanno prima, entrambi per un tumore, a sei mesi di distanza l’uno dall’altra. Al funerale non c’era nemmeno il fratello di mio padre: Luigi. Era più giovane di Giulio di ben 10 anni. I due non andavano mai d’accordo, forse a causa della troppa differenza di età: erano generazioni troppo ideologicamente contrapposte. Mio zio viveva in un’altra città e regione, senza far sapere quale fosse. Era sostanzialmente sparito dalla vita di mio padre senza nemmeno lasciare un recapito telefonico


Subii un grosso contraccolpo psicologico per la perdita di mia madre in quella tragica sera e dovetti ricorrere a sedute di psicoanalisi come i primi mesi che arrivai in Italia dal mio Brasile.
Passarono i mesi e non andai più dallo psicanalista. Il tempo guarì le piaghe delle mie sofferenze, ma non completamente. Comunque avevo un padre che mi stava vicino anche se era alquanto bislacco in alcuni momenti. Probabilmente, questo suo comportamento era una reazione psicologica per combattere le sue fasi depressive dovute al tragico accaduto. Infatti aveva preso il vizio di bere alcool, alla sera, prima di coricarsi a letto.
Da allora aveva cominciato a farsi crescere la barba folta che era sempre più grigia come i suoi capelli che teneva sempre corti, a spazzola, come i marines.

Una sera stava quasi entrando in coma etilico.Per fortuna che ero in casa e chiamai per tempo il pronto soccorso che lo ricoverò per 24 ore, per fargli la lavanda gastrica.
Prima che mi decidessi di chiamare l’ambulanza, ascoltai delle sue esternazioni deliranti, incredibilmente non riguardanti le donne e il sesso e che comunque avevamo sempre un pochino di fondo di verità:

“Non rinascerei Ricardo sai? Se per assurdo dovessi tornare indietro nel tempo e avessi la possibilità di decidere se nascere o meno, io opterei per non venire al mondo, mai! Il mondo è una merda! Dio, ammesso che esista e ne dubito fortemente, avrebbe dovuto dare la possibilità a un essere umano se vale la pena nascere e penso che se così fosse stato, non ci sarebbe il problema del sovraffollamento nel mondo, chissà quante persone farebbero a meno di nascere da famiglie disagiate. In ogni posto che vai, in strada con l’auto, trovi sempre un gran traffico, viviamo in una società di cani e porci, il sacco di patate prima o poi si rompe e così sarà anche il mondo. Insomma, è inutile che facciano gli ipocriti, ci riempiamo molto la bocca di ecologia ed ecosostenibilità, un po’ alla stessa stregua delle escort che fanno molto successo con i membri danarosi.
Benissimo, certo, ma poi il problema del futuro saremo noi essere umani, con le nostre carcasse ingombranti morte che dovranno essere, per forza, incenerite, rispettando l’ecologia, ovviamente. Ne abbiamo dimostrazione tutti i giorni con le innumerevoli morti nei paesi africani, ancora in guerra, dove fanno le fosse comuni. E tutto questo perché? Perché siamo in troppi e il nostro caro pianeta terrestre non basta. Siamo ridicoli noi umani perché vogliamo vivere in tanti, fino a più di cento anni, in salute e pretendiamo che ci siano risorse alimentari per tutti. Intanto, se non ci fossero state tutte quelle morti, e tante, causate in gran parte, da tutte le stupide religioni, nei secoli scorsi, oggi come oggi saremmo diventati tutti cannibali….”


E Giulio si addormentò respirando affannosamente e da lì, capii che c’era qualcosa che non andava. Così chiamai i soccorsi.
Quando ritornò a casa, fui fiero di me stesso: lo convinsi di andare a farsi aiutare da un gruppo di alcolisti anonimi di Milano per smettere di bere. E mio padre guarì e mi ringraziò perché stava anche rischiando di perdere il posto di lavoro e mi promise che saremmo andati a fare una vacanza all’estero. Ma io gli risposi che lo avevo fatto perché gli volevo bene e gli ero debitore per tutta la vita, avendomi adottato e quindi salvato da una vita destinata alla disgrazia. Ci abbracciammo così compassionevolmente che piangemmo come due bambini.
Passò un altro anno e mio padre cominciava a pensare alla pensione, ma il governo italiano, con l’Europa, continuava a riformare il sistema pensionistico portando l’età dell’addio al lavoro a una vecchiaia da ospizio; mentre io, con grande soddisfazione e orgoglio di Giulio, riuscii a iscrivermi all’albo dei Geometri di Pavia. Dall’Impresa edile di Mortara mi licenziai e andai a lavorare presso uno studio di un architetto di Pavia per fare un altro anno di praticantato. Mio padre mi promise che mi avrebbe preso in affitto uno studio a Milano, affinché mi mettessi in proprio e possibilmente vicino al ristorante in cui lui lavorava.
Mio padre, alla sera, non si ubriacava più ma, in compenso si dedicò a una nuova passione: a una chat di un social network che poteva permettere di trovare “un’anima gemella” o, perlomeno, più semplicemente quella che lui chiamava in gergo “la scopa amica”. Stava ore e ore a chattare attraverso un’applicazione dello smartphone denominata “Tinder”.
Un giorno dovetti dargli retta e cedetti, anche perché spinto da curiosità, a iscrivermi anch’io alla suddetta chat.
Appurai che metteva in comunicazione le persone tramite condivisione degli interessi (per di più visivi visto che si interagiva con le immagini). Se una persona era interessata all’altra e nel frattempo aveva mostrato interesse per la stessa persona, Tinder ti permetteva di chattare esclusivamente con lei.
Il funzionamento dell’app e del servizio era piuttosto semplice: inserirvi una foto al tuo profilo ed essa era visibile nel motore di ricerca e alle persone presenti nelle vicinanze che usavano l’app. Contemporaneamente tu potevi vedere le foto degli altri utenti di Tinder e giudicarle: facendo swipe a destra o sinistra sceglievi se la foto ti piaceva oppure no. Se c’era compatibilità (ossia il tuo mi piace era ricambiato) potevi iniziare a chattare con quella persona, pianificando un appuntamento o iniziando una nuova conoscenza.
Io stavo sempre sul vago e comunque non davo mai troppa confidenza ai contatti delle donne che cercavano di chattare con me. Sul mio profilo avevo postato una foto che non ritraeva il mio aspetto personale (era una farfalla sullo sfondo di un prato verde) e figuravo con lo pseudonimo di Federico.
Invece mio padre: foto, nome, cognome e tutto il resto della sua vita, nudo e crudo com’era. Quel social lo consideravo una vera e propria paccottiglia: notavo profili di donne che erano, evidentemente, dei veri e propri “specchietti per le allodole”. Erano troppo bellissime, sembravano finte, non si vedevano nemmeno nelle pubblicità di marchi altisonanti. Erano poi provenienti anche da tutto il mondo, a migliaia di chilometri di distanza, anche se l’utente impostava “distanza chilometri” entro un raggio di trenta. Ma un giorno, mio padre ottenne il numero di cellulare di una donna greca che si chiamava Dimitri. Tutto entusiasta me la fece vedere e non era una bomba sexy, una femmina normale, che dichiarava di avere quarantadue anni ed era precisamente dell’isola di Kos.

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5 commenti

  1. Bond ha detto:

    Very good

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  2. Reus ha detto:

    Ottimo

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  3. Ugi ha detto:

    Capitolo Top

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  4. Martina ha detto:

    Fantastico

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  5. Martin ha detto:

    Una scrittura semplice ma che ti prende…

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