Greek Love – L’Amore Greco – Chapter 18
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Avevo quasi la pelle d’oca perché eravamo io, mio padre e Dímitra in piedi, di fronte alla maschera dorata di Agamennone, nel Museo Archeologico Nazionale, ma io non c’ero mai stato lì e non conoscevo nemmeno quel reperto storico. Eppure l’avevo sognata vagamente la notte precedente.
C’era anche la guida turistica che ne stava raccontando la storia:
“Questa maschera d’oro detta di Agamennone è un manufatto che per tradizione è attribuito al mitico re degli Achei protagonista della guerra di Troia.
È una maschera mortuaria che raffigura un uomo anziano con baffi e barba. Gli occhi sono chiusi e le orecchie sono in posizione frontale e bene in vista. La parte superiore della fronte termina con il bordo della lamina leggermente curvo.
È appunto una maschera funebre e cioè realizzata attraverso un calco sul viso del defunto. Questa era una pratica molto comune nell’antichità classica utilizzata poi per ricordare personaggi importanti nel corso del tempo… “
Notai però che Giulio e Dímitra, di fronte a me, erano composti e stavano pure attenti a quello che diceva il cicerone. Tirai un sospiro di sollievo.
“… L’autore della maschera di Agamennone è sconosciuto. L’archeologo tedesco Heinrich Schliemann nel 1876 scoprì la maschera appoggiata sul volto di un corpo che si trovava sepolto nella tomba H a Micene. L’archeologo pensò di aver scoperto i resti di Agamennone il leggendario Re Acheo. Invece secondo recenti indaginI archeologiche è risultato che la maschera è datata tra il 1550 e il 1500 avanti Cristo. Questo periodo non corrisponde quindi a quello nel quale è vissuto Agamennone. Per convenzione però il nome del manufatto è rimasto quello dato da Heinrich Schliemann.
William M. Calder III, uno studioso statunitense, negli anni Settanta dichiarò che probabilmente la maschera è falsa. Secondo Calder l’esecuzione del connotati è molto raffinata e non corrisponde ad altri ritrovati nella stessa epoca. Secondo lo studioso quindi Heinrich Schliemann commissionò un falso. Anche lo storico David A. Trail sostenne lo stessa tesi di Calder…”
Mio padre appoggiò la mano sulla spalla dell’amica greca e poi la fece scivolare giù fino al suo sedere. Lei staccò la mano dell’uomo dalla sua natica e si volse verso di lui scuotendo la testa, in segno di diniego e gli sorrise. Stavano evidentemente giocando. Infatti lei fece altrettanto con lui e anche lui staccò la mano della donna dal suo sedere.
E la guida passò a descrivere il reperto storico:
“… Il manufatto appartiene alla cultura micenea. La fattura è essenziale ma compaiono alcuni particolari che descrivono efficacemente il viso del guerriero. I dettagli però non sono naturalistici ma realizzati con gusto decorativo. Infatti le sopracciglia e i baffi sono rappresentati da segni grafici regolari. Anche gli occhi e la bocca sono geometrizzati e descritti da semplici linee sbalzate. La maschera è composta da una lamina d’oro con rilievi a sbalzo. Sopra le orecchie sono presenti due fori che servivano per inserire la corda che fermava la maschera sul volto del defunto…”
Passammo a visitare altre sale del museo, con reperti molto interessanti, di alto valore storico, mentre Giulio e Dímitra avevano sempre evidenti atteggiamenti di intimità. Ma in quel luogo non subii particolari condizionamenti come accadde nell’Acropoli. Sicuramente perché avevo già abbondantemente sfogato le mie frustrazioni sessuali, nelle parecchie ore precedenti. Ci trovammo, infine, nella sala dove era esposto il famoso (a detta della guida) fantino di Artemissio:
“… Il ritrovamento della statua avvenne nel 1926, anche se il recupero fu completato nel 1928. Essa si trovava nei pressi di un relitto databile intorno al 200 a.C., del quale si sa poco, in quanto la spedizione di recupero fu interrotta a causa della morte di un sub e mai più ripresa. Si presume che la nave fosse di origine romana, una delle tante navi che all’epoca solcavano quei mari per portare elementi di arte greca verso Roma. Anche se così fosse, a causa dell’interruzione dell’operazione di recupero, non è ancora chiaro se la statua fosse imbarcata sul vascello o no.
Si è cercato senza successo di accostare il Cronide a uno dei grandi bronzisti greci dell’epoca, i cui nomi ci sono stati tramandati dalle fonti: Onata di Egina, Pitagora di Reggio o Calamide. La mancanza però di opere certe e l’inesistenza di accenni diretti al dio di Capo Artemisio rendono impossibile formulare un’attribuzione sicura.
Come vedete, la statua rappresenta una figura maschile nuda protesa probabilmente nel lancio di un fulmine in avanti: guardando il busto frontalmente, le gambe sono saldamente poggiate a terra e ruotate verso sinistra. Il peso del corpo è sulla gamba sinistra e con quella destra, invece, cerca di darsi la spinta. Le braccia sono entrambe distese all’altezza delle spalle e il volto è ruotato sempre verso sinistra fissando un obiettivo. Il braccio sinistro è nell’atto di prendere la mira e quello destro è teso indietro, ma non è chiaro cosa la statua dovesse tenere nella mano destra, forse un fulmine oppure un tridente (si tratterebbe quindi di una figura di Zeus o, rispettivamente, di Poseidone, entrambi figli di Crono, da cui il nome Cronide), o qualcos’altro. Il volto barbuto e con l’acconciatura finemente cesellata è tipico delle statue di divinità.
Lo scultore voleva indicare movimento dinamico, con l’apertura delle gambe, detta a “forbice”, restando attento all’equilibrio compositivo, che per i greci stava a simboleggiare qualità interiori. Braccia e gambe nel complesso formano un chiasmo, ovvero una figura simile alla lettera chi dell’alfabeto greco (χ), secondo una modalità compositiva assai in voga nel periodo arcaico; rispetto a atleti precedenti è chiaro però come il Cronide sondi maggiormente lo spazio circostante con la posa aperta, sebbene sia ancora prevalente una visione di tipo frontale.
Si presume che in origine negli occhi ci fossero inserti in avorio, che le sopracciglia fossero rivestite in argento e che le labbra e i capezzoli fossero rivestiti in rame.”
La nostra visita al museo terminò ma le effusioni tra mio padre e la sua amica continuarono ancora, eccome!
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Fantasticamente surreale…
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