>CAPITOLO 19< GREEK LOVE

Greek Love – L’Amore Greco – Chapter 19

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E venne sera e andammo tutti e tre a cenare in un grazioso locale di Atene, proprio a ridosso del mare. A pochi metri dalla spiaggia c’era un Hotel a cinque stelle dove avremmo alloggiato. Dimitra aveva prenotato una grande suite e, senza neanche troppi giri di parole, mi disse chiaramente che nella stessa c’erano una camera matrimoniale e una camera singola e mi fece l’occhiolino facendomi intendere che lei e mio padre avevano bisogno di passare tutta la notte insieme a letto. Io cominciai a ribollire dentro di me e pensai che mi sarei aspettato altre ore di frustrazioni sessuali. E così decisi che dopo cena sarei andato a fare sesso con una prostituta, così da rientrare in hotel molto tardi. Una volta per tutte avrei spezzato il ghiaccio, come si suol dire, togliendomi la zavorra psicologica della verginità. Non potevo ancora masturbarmi immaginando un rapporto amoroso altrui.
Comunque la serata fu bellissima e ci fu una piacevole sorpresa.

Ci trovavamo in una locanda tipica, seduti all’aperto su un terrazzo col pavimento in marmo a mosaico e parapetto in pietra. La vista mare da lì era meravigliosa.
Tavolini con tovaglie a quadri azzurri e sedie in legno verniciate di blu. Sopra le nostre teste c’era un raffinato pergolato in bambù e qualche raggio di sole che riuscì ad attraversarlo, baciò il mio viso. Dimitra mi chiese se desideravo cambiare posto, qualora mi avesse dato fastidio quello sporadico abbaglio di sole, ma io le risposi che mi andava benissimo. I raggi erano tiepidi perché la giornata stava volgendo al tramonto e sentivo anche un lieve venticello sulla mia pelle. L’amica greca era molto carina: indossava una camicia aderente a maniche lunghe, in cotone elasticizzato bianco, una gonna corta in jeans azzurri e dei sandali bassi con anello, in stile boho etnico. Le unghie delle sue dita dei piedi erano verniciate con smalto bianco perlato e sorrisi leggermente. Sorrisi in maniera contenuta perché pensai al sogno erotico della notte precedente, dove mio padre succhiava le dita di Dimitra.
La camicia della donna aveva i primi tre bottoni in alto, liberati dagli occhielli e così si poteva notare un sensuale décolleté, non grossolano e notai che lei non indossava il reggiseno, facendo anche intravedere i capezzoli. Le sue cosce erano abbronzante, lisce ed erano così lucenti che sembravano coperte da collant velati. Evidentemente le aveva cosparse di crema idratante, prima di uscire, dopo la doccia. In quel momento mi balenò in testa il desiderio erotico di leccarle le gambe e volli immaginare che lei non portasse le mutandine. Ebbi quasi la tentazione di fare cadere apposta il tovagliolo, chinarmi e verificare la mia fantasia.
Io e mio padre eravamo sempre vestiti con una polo e jeans e facemmo ridere di gusto l’amica greca, quando il cameriere ci portò la prima pietanza, perché ci mettemmo al collo il tovagliolo per non sporcarci. Concordammo di mangiare tutti quanti lo stesso menù. La taverna era quasi al completo, la gente parlava a bassa voce perché tutti quanti sapevano che, oltre che gustare le leccornie alimentari, potevano apprezzare il rumore delle onde del mare che si infrangevano sugli scogli; infatti il ristorante si chiamava “I mousikí tou kýmatos” che tradotto in italiano significava: “La musica dell’onda”.

Mangiammo l’antipasto che consisteva nella tiropita: fette di torta con ripieno di feta, uova e condimenti. Ripieno avvolto in strati di sfoglia phyllo con burro e olio d’oliva fritta in padella e così assumeva una colorazione dorata.
Passammo poi a un piatto di sformato fatto di melanzane e carne d’agnello: la moussaka. Arrivò infine il dessert: la portokalopita. Consisteva in una torta di pasta fillo al profumo di arancia con yogurt greco. Bevemmo del tipico vino bianco greco che aveva un nome così particolare che non lo tenni in memoria.
Appurai che Dimitra, dopo soli quasi due giorni, aveva già leggermente migliorato la sua pronuncia italiana. Pensai ironicamente che la vicinanza molto intima di mio padre l’aveva agevolata nell’accelerarne l’apprendimento.

“Allora Ricardo? Ti è piaciuta l’Acropoli e il Musseo Nazzionalle Archeologico?”
“Certo Dimitra”, risposi mostrando il mio miglior sorriso e le feci una domanda:
“Ma domani, quindi, dovrebbe raggiungerci tua figlia Iris?”
Ero curioso di conoscerla, non sapevo niente di lei e mi ero comunque già rassegnato che, anche se mi fosse piaciuta, era sicuramente già fidanzata con qualcuno. Pensai che una giovane così ricca e avendo una madre libertina, non poteva essere single.
“Arrivverà nell’Hotel, dove dormiremo stannotte, domani pommeriggio e poi, tutti insieme, prenderemo l’aliscafo che ci porterà all’isola di Kos dove ho la residenza.

“Ma tua figlia è all’estero per motivi di lavoro o in vacanza insieme al suo fidanzato?”, chiese mio padre, togliendomi l’imbarazzo di chiederlo io.

“Iris è andata a farer un corsso di specializzazione presso la cassa di moda ‘Louis Vuitton’ a Parigi perché sta studiando per diventarre una stilista.
“Però! Caspita!”, pensai e in quel momento mi resi conto di aver subito delle influenze machiste di Giulio perché meditai:
“Se Iris frequenta quegli ambienti dove bazzicano parecchi omosessuali, può essere benissimo che sia single, perlomeno non avrà persone interessate alla sua femminilità”

“Allora, ho una sorpressa per voi, carissimi. Come sapete questa locanda si chiamma” La musica dell’onda” non solo perché si sentono le onde infrangersi sulle rocce, ma anche perché, a fine serratta c’è il karaoke”, disse Dimitra. E infatti, vidi che il personale del ristorante spostò dei tavoli verso il parapetto del terrazzo, per creare uno spazio al centro dove piazzare tutta l’attrezzatura (TV, microfono e casse acustiche) per cantare.
E con grande stupore per me e Giulio, la nostra amica greca iniziò lei a cantare la prima canzone: “Certe notti” di Ligabue, che conoscevo.
Evidentemente si era preparata, per questa canzone, prima che arrivassimo noi in Grecia. La cantò quasi perfettamente, senza sbavature di pronuncia:

“Certe notti la macchina è calda
E dove ti porta lo decide lei
Certe notti la strada non conta
E quello che conta è sentire che vai
Certe notti la radio che passa Neil Young
Sembra avere capito chi sei
Certe notti somigliano a un vizio
Che tu non vuoi smettere, smettere ma… “

Mi padre aveva gli occhi rossi dall’emozione ed evidentemente gli venne in mente quando, anni addietro, Mariana gli fece una simile sorpresa cantandogli “Amore bello” di Baglioni in un locale di Rio de Janeiro, se non mi ricordavo male.

“…Certe notti fai un po’ di cagnara
Che sentano che non cambierai più
Quelle notti fra cosce e zanzare
E nebbia e locali a cui dai del tu
Certe notti c’hai qualche ferita
Che qualche tua amica disinfetterà
Certe notti coi bar che son chiusi
E al primo autogrill c’è chi festeggerà…”

E poi fu bellissimo perché, spontaneamente, anche noi cantammo insieme a lei il ritornello:

“… E si può restare soli
Certe notti qui
Che chi s’accontenta gode, così così
Certe notti sei sveglio
O non sarai sveglio mai
Ci vediamo da Mario prima o poi
Certe notti ti senti padrone
Di un posto che tanto di giorno non c’è
Certe notti se sei fortunato
Bussi alla porta di chi è come te
C’è la notte che ti tiene fra le sue tette
Un po’ mamma, un po’ porca com’è
Quelle notti da farci l’amore
Fin quando fa male, fin quando ce n’è…”

E così, terminammo poi la serata ascoltando qualche motivo in lingua inglese cantato da turisti stranieri e mentre Giulio e Dímitra andarono in hotel, io dissi a loro che avevo voglia di fare quattro passi da solo lungo la spiaggia, ma in realtà andavo alla ricerca di una professionista del sesso, però con poca convinzione.

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4 commenti

  1. Nik ha detto:

    Racconto sempre più bello. Complimenti.

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  2. Andre ha detto:

    Very cool

    Piace a 1 persona

  3. Salvo ha detto:

    Bello…

    "Mi piace"

  4. Virgin ha detto:

    Very cool

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