I like to kill – Chapter 5
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Nonostante la morte di un professore assassinato brutalmente, la vita della scuola continuò normalmente, come tutti gli altri giorni.
Nella toilette dei docenti dell’Istituto Tecnico Statale “Francesco Selmi” in Vigevano, Sabrina Miccio e Valeria De Marchi stavano parlando a bassa voce, mentre si truccavano entrambe, davanti alla specchiera sopra i lavandini.
<<L’uccisione di Angelo mi mette i brividi, l’assassino potrebbe essere stato un nostro studente geloso perché si è fatto una sua ragazza o magari aveva delle mire sulla sua compagna di classe ed è stato disturbato dai comportamenti da playboy del professore. Le studentesse avevano un debole per il nostro ex collega e lui approfittava di loro andandoci a letto e come regalo gli concedeva dei voti alti nelle interrogazioni>> disse Sabrina truccandosi gli occhi con una matita marrone, evidenziando i suoi bulbi oculari castano scuri.
Valeria si mise il rossetto rosso sulle labbra sottili, ammirandosele con i suoi occhioni azzurri e disse:
<<Se devo essere sincera la morte di Angelo non mi ha dato dispiacere più di tanto, ha fatto la fine che si meritava, certo molto macabra, ma se la meritava.>>
Mentre pronunciò queste parole, la collega Sabrina fece un lieve sorriso amaro e si sistemò i capelli medi e mori raccogliendoseli a coda di cavallo con un elastico nero. Essa era al corrente della sbandata che Valeria si era presa per il defunto professore. Notti di sesso appassionato con un uomo che le aveva promesso di portarla all’altare e poi, una volta stufatosi di lei, abbandonata come uno straccio consunto. Per questo motivo non la biasimò nonostante le sue parole forti.
<<Ora effettivamente spero che l’assassino sia completamente estraneo al nostro Istituto, comunque dovremo subire più interrogatori dei carabinieri e ti consiglio vivamente, Valeria, di dire a loro della tua passata love story con la vittima, tanto prima o poi verranno a saperlo.>>
<<Tu dici cara?>>
E mentre Valeria chiedeva ancora conforto articolando una domanda, Sabrina pose la sua mano delicatamente sopra i suoi lunghi capelli rossi e poi più giù, fino a toccarle il morbido sedere e ancora più giù all’estremità della sottana, per poi risalire e infilare le dita nelle mutandine…
<<No, dai Sabrina! Come erano i nostri patti? Lo sai che sono venuta a letto con te in un periodo che ero confusa, ora sono felicemente insieme a Carlo e… >>
<<Si, si okay lo so, sono persuasa, ma ogni tanto se ti lasci andare e godi un po’ insieme a me cosa c’è di male? >>
<<Assolutamente no Sabrina, Carlo è troppo un bravo ragazzo, non mi va di mettergli le corna. >>
<<Vabbè Valeria, andiamo dai ragazzi che ci aspettano, la campanella fra poco suonerà per l’inizio della prima ora.>>
Le due colleghe si avviarono alle loro rispettive classi, Sabrina Miccio insegnante di Lettere, mentre Valeria De Marchi insegnante di Economia e Agraria.
Nel frattempo il bidello Mario Casari leggeva il giornale nell’attesa che iniziassero le lezioni. Divorava le notizie spalancando i suoi occhi scuri sopra degli zigomi alti, come se fossero sensazionali, straordinarie e si passava la mano destra sui capelli brizzolati e corti a spazzola. Una volta liberati i corridoi, avrebbe passato lo scopone sui pavimenti. Fischiettando una squinternata melodia che probabilmente era nota solo a lui, il bidello andò verso il locale dei prodotti di pulizia camminando con le ginocchia rientranti e con la schiena leggermente ingobbita. Era un difetto agli arti e alla colonna vertebrale che era stato causato, all’età di quindici anni, da un virus che gli impediva di avere un portamento normale ma, perlomeno, gli aveva consentito di trovare un lavoro fisso, come bidello nella scuola, avvantaggiato dal fatto che rientrasse in una categoria protetta.
Nel mentre stava per aprire la porta del locale, arrivò il suo amico d’infanzia Massimo Lovetti, professore di Topografia e Tecnologia delle Costruzioni. Il docente aveva sempre da anni lo stesso look: capelli medi, stirati e tinti di nero corvino. Con un gran sorriso stampato su una faccia piatta disse:
<<Ciao Mario, tutto bene stamattina? >>
<<Ciao Massimo, sì tutto okay, a parte questi ragazzacci che, anche se siamo in primavera, portano gli scarponi da montagna, col risultato che devo passare lo scopone più volte, per i segnacci neri che lasciano sul pavimento. Cavolo di moda stupida! Ma oggi sei in anticipo? Come mai? >>
Il professore si tolse gli occhiali da sole neri mostrando delle piccole fessure scure con sotto delle leggere borse e rispose:
<<Si, ho gli operai in casa per il rifacimento del bagno e così sono già venuto a scuola per poter correggere le prove scritte, in un ambiente silenzioso. >>
<<Hai fatto bene carissimo, allora stasera ci vediamo al bar di Salvatore per un aperitivo?>>
<<Si, certo, forse ci sarà anche il nostro santissimo Don Claudio. Dovrebbe riuscire a liberarsi per tempo dalla sua parrocchia di Gambolò, almeno che non lo trattenga qualche vecchietta innamorata del suo talare. >>
I due amici si misero a ridacchiare. Da quando Claudio Casnaghi aveva preso i voti, per loro era diventato il “nostro santissimo” ed era sempre soggetto a sarcasmo gratuito. Il sacerdote era anche professore di religione nell’Istituto “Francesco Selmi”. Mario, Massimo, Salvatore De Santis e Claudio erano gli amici da una vita e spesso amavano ritrovarsi al bar consolidando il loro affiatamento.
Passò la mattinata delle lezioni e gli studenti, come da che mondo è mondo, fecero gli studenti: chi secchione ottenendo voti alti, chi obbligato dai genitori ottenendo voti scarsi e chi invece ci teneva, ma faceva fatica perché limitato nelle sue virtù. Molti di loro sarebbero stati destinati a lavorare nelle fabbriche come operai, se mai ce ne fossero ancora in attività. I più fortunati e raccomandati avrebbero trovato lavoro come impiegati e davvero in pochi avrebbero praticato in ogni caso la professione di geometra, considerata la lunga crisi economica che aveva coinvolto inevitabilmente anche il mercato del mattone già dagli inizi del nuovo millennio.
Arrivò la sera e i quattro amici erano tutti riuniti al bar. La loro movida privata, sempre spassosa e spensierata, fu condizionata dall’avvenimento drammatico dell’omicidio del professore.
<<So che Tiraboschi abitava proprio in un appartamento nel centro di Gambolò. Tu santissimo hai avuto contatti extrascolastici con lui, vista la tua attività ecclesiastica nel luogo? >> chiese Mario a Don Claudio. Il sacerdote che si trovava proprio sotto la lampada a sospensione del locale, aveva gli occhi verdi che sembravano assumere una tonalità azzurrognola:
<<Certo che sì, non l’ho mai visto in chiesa, ma ho avuto la possibilità due volte di incontrarlo a casa sua, nell’occasione delle benedizioni prenatalizie. E devo dire che, addirittura, la seconda volta ha accettato di confessarsi da me.>>
<<Cosa?!>>
Lo interruppe Salvatore, mentre stava ponendo le caraffe di birra sul tavolo per poi sedersi con loro. La luce della lampada faceva anche luccicare delle piccole gocce di sudore sul cranio parzialmente pelato di Casnaghi:
<<Si, l’ho confessato su mio consiglio, perché quella sera era molto affranto e si stava confidando, sfogando con me e allora, visto che si trattava di questioni personali, riuscii a convincerlo affinché rimanesse tutto segreto.>>
<<Mannaggia a te santissimo, ci hai fregato, volevamo sapere qualche cosa su di lui di piccante! A parte gli scherzi, pace all’anima sua! Ora cambiamo discorso. Allora Desa raccontaci di qualche tua ultima avventura con qualche cliente sfitinzia… >> disse Lovetti e invitò tutti a brindare con lui alla loro indissolubile amicizia. Il barista De Santis, dal viso sveglio, tanto di capelli biondi, corti e ricci e con due caratteristici occhi di differente colore (uno azzurro e uno verde) si mise a raccontare animatamente le sue avventure con, in sottofondo, le risate all’unisono degli amici. La serata si protrasse, come al solito, fino alla chiusura del locale e la notte cominciò a prendersi in carico dei segreti che prima o poi si sarebbero dovuti svelare.
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