I like to kill – The origins of the Aphorist
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Roberto, detto il Casanova, stava seduto su un sedile della ruota panoramica, con accanto una delle sue ultime facili conquiste. Aveva capelli bruni, corti e tutti impomatati di gel Tenax. Occhi verdi, labbra carnose e pelle abbronzata da parecchie ore passate sotto la lampada, nel miglior Solarium di Milano. Tutte queste caratteristiche facevano di lui il magnifico esemplare dello sciupafemmine. Aggiunta anche una buona disponibilità economica da parte del babbo, tutte le donne che orbitavano nella sua sfera d’azione erano ai suoi piedi.
La ruota luminosa, in una serata mite di ottobre, girava lentamente facendo godere, a chi stava seduto su di essa, tutto lo scenario sottostante delle giostre collocate in piazzale Longo, nella festa patronale di Vigevano. Ma i due ragazzi, quella sera, avevano in programma di godere soprattutto dei piaceri della carnalità. Natalina stava fra le braccia di Roberto, emozionata come non mai, perché quella sera avrebbe perso finalmente la verginità. Così la ragazza poteva vantarsi con le sue amiche che anche lei l’aveva fatto, si era tolta il pensiero. Poteva camminare come loro: sculettando con l’andatura da bagascia (come le diceva suo cugino Pietro che non sopportava il comportamento, troppo disinvolto, delle sue coetanee). Mentre Roberto cominciò a baciarla, con tanto di lingua nella bocca, pensò che l’avrebbe portata nel suo pied-à-terre anche se lei non era proprio di suo gradimento. Era un periodo che gli capitavano fra le mani ragazze non proprio da far girare la testa, ma da buon tombeur de femmes, doveva tenersi allenato. Natalina non era un granché, aveva la bocca con labbra sottilissime e il mento sfuggente. I capelli medi e pettinati in maniera grezza. L’unica cosa che l’abbelliva un po’ erano i suoi occhi piccoli che, quando sorrideva, sembravano di una ragazza orientale, e dei seni prosperosi. Comunque egli pensò che, una volta che sarebbe stata completamente nuda sul suo letto, voleva godersela appieno e l’avrebbe sodomizzata facendole credere, inizialmente, di fare un rapporto normale. Pensò che, tanto, sarebbe stata talmente eccitata che non avrebbe capito più niente: a quel punto per lei, probabilmente, un buco valeva l’altro. Per facilitare la penetrazione, pensò di utilizzare del burro come Marlon Brando nella celeberrima scena dell’Ultimo Tango a Parigi. Aveva letto quel passaggio così scabroso su un articolo scritto su un quotidiano, conservato da suo padre, che spiegava le motivazioni che avevano portato alla censura del film di Bernardo Bertolucci.
Mentre Casanova continuava a limonare l’inconsapevole Natalina, c’era sullo sterrato, accanto all’autoscontro, una figura oscura che li osservava attentamente da lontano. Seminascosta nel buio, stava appoggiata con la spalla a un sostegno metallico con le braccia conserte e guardava la ruota che girava, non perdendo di vista i due ragazzi che amoreggiavano. La ruota girava pian piano e la misteriosa presenza osservava nella penombra, immobile come un leone che attendeva pazientemente il momento opportuno per afferrare le sue prede.
I due ragazzi passarono tutta la serata sulla ruota, fino al termine e alla chiusura delle giostre. Scese improvvisamente una fitta nebbia che fu presagio di minacce nefaste. Non appena i due ragazzi giunsero sull’auto, parcheggiata in viale Liguria, Roberto ebbe una gran voglia di urinare e così andò in fondo alla via a espletare il suo bisogno impellente dietro una pianta, lasciando Natalina ad ascoltare musica rock all’autoradio Voxson. Casanova pisciava sulle radici di un faggio, fischiettando baldanzoso. La gittata del liquido giallo fu prolungata e il giovane si divertiva a formare dei piccoli cerchi che diffondevano vapore mischiandosi con l’umidità della nebbia. Nel frattempo il predatore guardava il playboy con disprezzo notando il suo cambio di look. Il ragazzo stava quasi terminando il piacevole espletamento fisiologico e così anche la sua piccola melodia fischiettata. Stava scrollando il pisello, ma non fece neanche in tempo ad emettere l’ultimo sibilo, che ne sentì un altro dissonante provenire da dietro la pianta e, nemmeno il tempo di accorgersi di quello che stava accadendo, venne colpito duramente alla fronte dal ferro di un martello. Il giovane cadde all’indietro e sbatté la nuca sul marciapiede. Il sangue schizzò dalla sua fronte come una fontanella zampillante e altrettanto fece dal petto, non appena l’assassino gli conficcò il punteruolo al cuore con estrema precisione.
<<Che bellezza Geppo! Abbiamo fatto bene ad avere pazienza, ora abbiamo soppresso questo bastardo donnaiolo>> disse il killer ragazzino con la voce da bambino.
<<Ma aspetta un attimo… è ancora vivo, muove gli occhi, mi sta osservando! Meglio così, mi guarda mentre gli infilzo la siringa nel suo occhio sinistro.>>
Il ragazzino infilò impietosamente l’oggetto nell’occhio sinistro di Roberto che emise un leggero gemito. Cosicché spinse il punteruolo ancora più in profondità nel cuore della vittima che smise di respirare per sempre. L’occhio sinistro della vittima non era più verde ma intriso di rosso sangue e l’altro rosso di lacrime e terrore. Roberto soprannominato Casanova, anziché infilzare la sua amica venne così conciato per le feste e lasciò definitivamente la vita terrena.
Le forze dell’ordine avrebbero trovato scritto sul foglietto, infilato nella siringa, il secondo breve aforisma a firma del killer:
“La storia non è che un quadro di delitti e sventure (Voltaire)”.
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