I like to kill – The return of the Aphorist
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L’anziana donna Giovanna stava seduta su una carrozzina, in una camera singola della Casa di cura “Le Betulle”. Era sveglia di fronte a una televisione accesa, ma i suoi occhi grigi erano fissi nel vuoto, aveva orecchie per udire ma il suo cervello non recepiva nulla, ormai da molti anni. I capelli della donna erano molto radi e bianchi e aveva tutta la pelle del viso piena di rughe che sembravano come le pieghe di un letto sfatto. Su un noto grande canale privato stavano trasmettendo uno show dove c’erano ospiti le solite zoccole raffinate, puttanieri palestrati, gay di ambo i sessi, travestiti rifatti, tutti quanti in uno spettacolo trash, magistralmente condotto da una sessantenne napoletana, i cui virtuosismi erano sorretti, molto probabilmente, da dosi controllate di sopraffina polvere bianca sniffata nel camerino.
<< Ciao madre sono arrivato.>>
Giovanna sentì una voce da bambino, per lei indecifrabile, incomprensibile, ma non appena l’uomo che stava dietro di lei, posò la mano calorosa sul suo collo, percepì subito che era quella di suo figlio e le scese lentamente una lacrima sul viso. La lacrima d’amore che solo una donna madre può provare, fin dal giorno in cui scopre di essere incinta giù arrivando all’ultimo dei suoi giorni di vita, con la consapevolezza che ha sempre dato tanto amore e magari non ne ha sempre ricevuto altrettanto.
<<Sono venuto col mio amico Geppo, te lo ricordi? Ti ricordi che quando ero bambino non ci credevi della sua esistenza? Pensavi che fosse un mio amico immaginario, invece Geppo esiste. >>
Mentre il figlio parlava, Giovanna guardava sempre con occhi fissi nel vuoto. E alla televisione c’era sempre in onda quella trasmissione grottesca.
<<Pensa mamma che meraviglia, sono tornato a uccidere, come ai vecchi tempi, ti ricordi? Quando tu mi scopristi e sei stata brava a tenere nascosto il nostro segreto. Pensa che è tutto come se fosse ieri, una sensazione bellissima, sapessi quanto pagherei affinché tu mi comprendessi e provassi le emozioni che sto rivivendo ancora. Mi sento ancora bambino. Guarda ho la pelle d’oca sul braccio.>>
L’uomo, stando sempre alle spalle della madre, mostrò il suo braccio nudo davanti ai suoi occhi ma continuava a rimanere impassibile.
<<Ho già ucciso un professore che mi ricordava tantissimo Casanova e ora dovrò eliminare una donna che mi ricorda parecchio Marcella, è una madre di un’alunna. C’è però un contrattempo. Temo di essere stato riconosciuto da un’altra donna che conosco. Quando ho incontrato il professore Tiraboschi nel parcheggio, probabilmente lei mi ha visto, anche se le ho puntato una torcia in faccia. Lucifero insiste che devo eliminarla e dovrò agire in fretta prima che vada in Caserma per gli interrogatori. Ma come sai, cara mamma, a me piace uccidere solo se la vittima mi ispira. Così sono riuscito a convincere Lucifero di pensarci lui. >>
Quando però l’uomo pronunciò quest’ultima frase, la madre fece quasi un impercettibile movimento con le pupille come se ci fosse un insperato risveglio dal suo stato di incoscienza irreversibile, causato dall’ictus subito molti anni addietro.
<<Ora mamma, io e il mio amico Geppo ti dobbiamo lasciare perché il tempo stringe e abbiamo tanto da fare. Mi ha detto Lucifero che fra qualche giorno verrà a trovarti anche lui, te lo saluto comunque.>>
L’uomo posò ancora la mano sul collo della madre e se ne andò e un’altra lacrima scese dal viso di lei. Un altro show, all’esterno della casa di cura, avrebbe avuto luogo. Lo show dell’assassino a cui piace uccidere.
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