> CAPITOLO 13 < I LIKE TO KILL

I like to kill – Chapter 13

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Longobucco e Gornati accorsero immediatamente, con la squadra RIS al completo, nell’appartamento della presunta suicida Sabrina Miccio. Il sospetto che non si fosse suicidata era decisamente motivato. La donna era stata l’ultima persona che aveva visto la vittima Tiraboschi e molto probabilmente aveva avuto una breve relazione intima con lui. Quando il maggiore e il tenente entrarono nell’appartamento, videro ben quattro bottiglie d’acqua, vuote, da un litro e mezzo: un paio nel soggiorno e due nella camera da letto. Inoltre, sempre nella camera da letto c’era il cadavere di Sabrina Miccio che stava supino sul pavimento tra i piedi del letto e la finestra. Aveva la bocca schiusa con la bava grigio-biancastra e schiumosa che gocciolava abbondante dal labbro inferiore. L’essudato cadeva lentamente sopra una grossa chiazza di vomito nauseabonda che si estendeva sotto la testa della donna rivolta con il viso verso la persiana, con occhi spalancati e fissi come se avesse voluto farsi baciare dai raggi del sole che filtravano attraverso le fessure. Ultimo desiderio prima di esalare l’ultimo respiro. C’erano parecchie confezioni di medicinali vari, tutte vuote e consumate, sparse sul letto e di fianco alle gambe della presunta suicida tre bottiglie di whisky completamente svuotate. Il medico legale, mentre stava abbassando le palpebre del cadavere fece già una sua supposizione:

<<Dovrò confermarlo dopo l’autopsia, ma posso ipotizzare che la donna non sia morta a seguito di un attacco cardiaco causato dall’abuso di farmaci, ma per il soffocamento provocato dal vomito.>>

Mentre i due colleghi osservarono il corpo senza vita della donna e gli esperti della squadra stavano effettuando i primi rilievi, si sentì un pianto di donna provenire dal soggiorno d’ingresso. Gornati disse a bassa voce al collega:

<<Vado io di là? >>

E Longobucco annuì con la testa. Il vice capo RIS vide una giovane donna di spalle che singhiozzava tenendo la testa sulla spalla della detective Leoni.

<<Chi è la ragazza? >> chiese a bassa voce Gornati, con tono confidenziale alla detective, avvicinandosi a loro. Leoni accarezzò i capelli della donna affranta e gli disse:

<<È la professoressa Valeria De Marchi, collega e amica di Sabrina Miccio. Continua a sostenere che non può essersi suicidata. >>

La donna piangente si voltò verso il vice capo RIS. Aveva il volto paonazzo e tutto bagnato di lacrime e confermò ripetutamente:

<<Povera Sabrina! Non può essersi suicidata! Non è possibile, la conoscevo bene, non può essersi suicidata! Povera Sabrina! Non può essersi suicidata!>>

<<Okay, okay signora, ora si calmi!>> disse Gornati e tornò da Longobucco in camera da letto.

<<La signora Valeria De Marchi non mi sembra in grado di poter affrontare oggi l’interrogatorio, che cosa ne pensa maggiore?>>

<<Sono d’accordo tenente, le dica pure che la contatteremo per un altro giorno.>>

Nel frattempo Massimo Lovetti stava attendendo che venisse chiamato, nella sala d’attesa della caserma, già da quindici minuti oltre l’orario stabilito. Ogni minuto guardava l’orologio, l’attesa era snervante. Passarono ancora quindici minuti e poi altri minuti interminabili finché finalmente il maresciallo scelto Antonio Pennetta lo chiamò. Il professore entrò in un ufficio e rimase stupito dell’ambiente decisamente informale. Si immaginava di essere interrogato in quei classici locali che si vedono nei film, dove c’è una lampada che ti viene puntata in faccia e c’è il duro agente di turno con faccia larga e sguardo deciso che ti pone delle domande alle quali devi rispondere per timore riverente. Ma subito pensò:
“Che pirla, sono stato semplicemente convocato come persona informata sui fatti, non sono mica qui per essere torchiato!”
Lo fecero accomodare di fronte a una scrivania a capo della quale c’era seduto un uomo brizzolato e con la barba incolta leggermente meno grigia dei capelli. Il suo sguardo era evidentemente stanco ma non dava l’impressione di essere un agente cattivo. Portava con classe una camicia bianca e una giacca color canapa. Lovetti, preso dall’ansia dell’interrogatorio, non si accorse che alla sua destra c’era un altro agente in borghese che era di spalle e guardava fuori dalla finestra tenendo le mani in tasca.
L’uomo delle forze dell’ordine seduto alla scrivania si presentò ma non era un agente. Il professore, per lo stato d’inquietudine, non si ricordò neanche che non era in un comando di polizia bensì in una caserma di carabinieri.

<<Buongiorno signor Lovetti, la ringraziamo per la sua presenza, mi chiamo Salvatore Longobucco e sono il capo RIS di Parma, mentre il signore alla finestra è il tenente Gornati Stefano ed è il mio vice.>>

Quando il maggiore disse queste parole, Gornati si girò e fece un sorriso a Lovetti in segno di saluto che venne contraccambiato allo stesso modo. L’uomo che era davanti alla finestra sembrava vestito di un abito grigio chiaro, ma non era ben visibile in quanto i raggi del sole provenienti dall’esterno abbagliavano gli occhi di Lovetti e pertanto non si riusciva neanche a identificare la fisionomia del viso dell’uomo. Il professore pensò che fosse una tattica degli agenti che fungeva in pratica da lampada puntata in faccia. Tanto è vero che Gornati rimase in quella postazione per tutto il tempo dell’interrogatorio, tenendo sempre le mani in tasca. Intervenne di nuovo il maggiore Longobucco:

<<Le faremo delle domande riguardo il suo collega Tiraboschi assassinato qualche giorno fa. Ma prima di questo dobbiamo chiederle riguardo la sua collega Sabrina Miccio.>>

Lovetti non riuscì a mascherare sul suo volto lo stupore e chiese:

<<Come mai mi chiedete di lei? Che cosa c’entra con la morte del mio collega? >>

Intervenne Gornati che disse:

<<Le dobbiamo dare una brutta notizia. La sua collega Miccio doveva presentarsi dopo di lei ma è stata trovata morta suicida. Ma noi abbiamo più che fondati sospetti che si tratti di un suicidio simulato, in realtà è stata assassinata e il responsabile è molto probabilmente lo stesso che ha ucciso Tiraboschi.>>

Lovetti, che ascoltò le parole del vice capo RIS non potendolo osservare a causa della luce del sole, andò nella più totale confusione. A ogni domanda del tipo, non sa chi avrebbe potuto fare del male a Miccio, oppure, visto che lei risulta essere single, non ha avuto storie con la sua collega professoressa? rispose rispettivamente non saprei e no e, tentennando con la voce, diede l’impressione che stesse mentendo. A un certo punto egli capì che nella successiva convocazione avrebbe dovuto presentarsi con un avvocato perché da persona interessata sui fatti ci sarebbe stato il rischio di diventare un sospettato:

<<Si ricorda la notte del 14 aprile dov’era?>>.

Lovetti si ricordava benissimo dov’era e furbamente rispose:

<<Scusatemi, ma la notizia della morte della mia collega mi ha mandato nel pallone, non mi ricordo. Se per voi può essere sufficiente quanto dichiaratovi finora, io me ne andrei.>>

<<Certo signor Lovetti, per ora è sufficiente, ma si tenga a disposizione per un ulteriore approfondimento. >>


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