> CAPITOLO 15 < I LIKE TO KILL

I like to kill – Chapter 15

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Sergio il netturbino stava terminando di spazzare in via Roma di primo mattino. Aveva il viso stanco, sciupato e pieno di rughe: sul mento, sulle guance, sugli zigomi e sulla fronte; l’unico punto del viso senza rughe era il naso bulboso. Sergio sentiva il peso degli anni lavorativi passati nella polvere, nell’umidità, nelle intemperie. Per sua fortuna l’uomo, nonostante fosse piuttosto basso, era sufficientemente robusto per affrontare dignitosamente le ore lavorative dei pochissimi anni che gli rimanevano per andare in pensione. Aveva la bocca molto amara e si sentiva alquanto intorpidito poiché erano giorni che dormiva male la notte. La primavera e l’estate, le belle stagioni, erano per lui stagioni disgraziate in quanto la gente usciva di più alla sera. “Tante persone, giovani, anziani e coppiette e bambini che vengono fuori dalle loro case come le formiche attratte da un vasetto di miele aperto”, pensò il netturbino. Invece egli, mentre il popolo Vigentino e forestiero si divertiva all’aperto nelle notti “magiche”, doveva andare a dormire presto. Ma prima che l’operatore ecologico entrasse fra le braccia di Morfeo, passavano anche ore e ore a causa del chiasso notturno, in quanto abitava in centro. Pertanto la notte arrivava anche a dormire un’ora a dir tanto. Oltre al danno, poi, anche la beffa: la sporcizia sulle strade era superiore rispetto all’inverno.
“Anche se l’uomo ha acquisito negli anni una maggiore coscienza ecologica, comunque in una massa variegata e multicolore di cervelli, più o meno stabili, qualche pezzetto di carta o cagata di cane, non raccolta, ci scappa. E come no se ci scappa!” pensò Sergio incazzoso.
Via Roma fu pulita per bene, così l’uomo si apprestò a ramazzare Piazza Ducale e ogni volta era un piacere per lui, un gran piacere. Nonostante facesse un umile lavoro, si sentiva un privilegiato. Poter avere l’onore di pulire tutti i giorni il salotto d’Italia era una cosa che lo inorgogliva. La pulizia fatta dall’uomo avveniva come nel salotto di casa sua, forse anche meglio perché lo riteneva quasi come un luogo sacro. Cosicché l’animo e il sentimento del netturbino si colorava di grande positività. Musica e musica aleggiava nell’aria ogni giorno che metteva piede nella piazza. Ma quel mattino accadde il classico fulmine a ciel sereno, la nota stonata di una dolce melodia. Sergio aveva un olfatto sopraffino perfezionato dopo anni e anni di lavoro alle spalle. Sapeva riconoscere l’odore del sangue degli animali morti sulle strade anche a metri di distanza. Ma quel mattino capì subito che l’odore acre che sentì non era di un animale bensì di un essere umano. Infatti volse lo sguardo alla sua sinistra e vide un corpo supino a terra in prossimità della cancellata del locale battesimale della cattedrale. Il netturbino, in un primo momento, pensò di non essersi ancora destato dall’incubo del primo risveglio e così, avvicinandosi titubante al presumibile cadavere, si prese a sberle ripetutamente. Il cadavere aveva proprio le sembianze di una giovane donna che aveva abbondante sangue sulla fronte e sul petto e aveva anche un oggetto conficcato nell’occhio sinistro che stupì Sergio:

<<Una siringa? Non ci posso credere? Sì, è proprio una siringa! Pazzesco!>> disse a bassa voce e prese subito il cellulare dalla tasca per chiamare i carabinieri.

“I cadaveri sono distesi a terra, tutti sanguinanti con una siringa conficcata nell’occhio sinistro e io sono in mezzo a loro, completamente inerme. Sono sempre inerme e sento un pianto di bambino provenire da lontano, mi pare un pianto familiare, ma sì, è mio figlio! E io sono sempre qui, inerme fra i cadaveri sanguinanti, ma cerco di reagire e correre verso di lui ma non riesco! Il pianto è incessante ed è mio figlio che ha bisogno di aiuto! Guardo avanti per cercare almeno di vederlo ma non ci riesco e osservo invece la figura di un uomo oscuro che si avvicina a me. Si avvicina sempre di più verso di me e riesco quasi a scorgere il suo viso: è l’Aforista! E se faccio ancora pochi metri, posso scoprire chi è!”

La suoneria dello smartphone svegliò di soprassalto il maggiore Longobucco. Venne interrotto il suo macabro sogno e, in pochissimi secondi, ebbe quasi un impulso di stizza perché stava per vedere in faccia l’assassino. Ma poi si riprese subito e pensò che fosse solo un incubo e non una premonizione. I sogni premonitori esistono solo nei film ed egli non era un attore ma un uomo che doveva affrontare la dura e cruda realtà.
<<Sì, pronto… >> rispose il capo RIS, con una voce rauca da primo risveglio. Buongiorno maggiore, sono Attilio Pastori, dovrebbe venire con urgenza, con Gornati, in caserma, perché è stato trovato, stamattina all’alba, il cadavere di una donna supina a terra di fronte alla cattedrale di Sant’Ambrogio, precisamente davanti la cancellata del locale battesimale. Abbiamo già identificato l’identità, è quella di una giovane madre che si chiama Barbara Trevisan. La vittima è stata inequivocabilmente uccisa con il modus operandi dell’Aforista.


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