I like to kill – Chapter 19
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<<Salvatore, la sera del 23 maggio, se non mi ricordo male, è stato a lavorare nel locale fino alle 23 e 30 circa. Non c’era molta clientela quella sera e disse che sarebbe andato a casa perché aveva una forte emicrania. Io e Katia abbiamo chiuso il locale intorno all’una di notte>> dichiarò Monica Salmoiraghi interrogata presso la Caserma dei Carabinieri di Vigevano.
Dall’autopsia sul cadavere di Barbara Trevisan, risultò che la sua morte sarebbe risalita all’una e diciotto di notte del 24 maggio. Il capo RIS di Parma vide negli occhi scuri di Monica e nella sua espressione, con mento e bocca sottili da vecchietta, una candida sicurezza, anche se, ogni tanto, un piccolo segno di nervosismo si palesava, quando a ogni domanda sul suo collega De Santis, si mordeva il sottile labbro inferiore. L’altra barista Katia Mengacci dichiarò più o meno lo stesso orario dichiarando l’uscita dal locale di De Santis quindici minuti prima. Ma essa sembrò piuttosto agitata: continuava ad arrotolarsi nervosamente le lunghe ciocche di capelli castani ai lati del viso e sbatteva frequentemente le palpebre tant’è che i suoi occhi ambrati sembravano due piccole luci intermittenti, due piccole timide stelle nella notte, che comparivano e scomparivano al passaggio incessante di nuvole.
Il team investigativo optò di interrogare prima le persone collegate ai sospettati per avere un quadro più dettagliato su di loro, utile alle indagini. Le colleghe bariste di De Santis furono messe naturalmente al corrente che qualora si fossero presentate a un eventuale processo, in caso di falsa testimonianza, avrebbero rischiato la reclusione da due a sei anni in base all’articolo 372 del Codice penale. Con le dichiarazioni delle due ragazze, venne messa al setaccio la vita del sospettato: le sue frequentazioni, i suoi comportamenti e se lui avesse avuto storie con loro. Le ragazze, alla domanda se fossero state insieme al loro compagno di lavoro, dichiararono, entrambe, che avevano avuto un flirt con lui, ma niente di più.
Fu convocato ancora il preside Giorgio Martini dell’Istituto Tecnico “Francesco Selmi”. Questa volta per avere informazioni riguardo l’operato del collaboratore scolastico Mario Casari e del professore Massimo Lovetti. Il vice capo RIS Gornati notò che Martini non aveva il ridicolo riporto della volta precedente. Aveva tutto il cranio in vista di color bianco latte e capelli lunghi dietro le orecchie. Gornati osservandolo fece una gran fatica per non scoppiare a ridergli in faccia e la detective Alice Leoni, ammiccando col collega, ebbe la stessa reazione.
<<Il signor Casari è al servizio dell’Istituto da parecchi anni, ancor prima che subentrassi io come preside. Nonostante il suo handicap è un lavoratore molto professionale e ineccepibile. Insomma, niente da dire, non ha mai avuto nessun problema di socializzazione con gli studenti>> disse il preside massaggiandosi il cranio pelato.
<<Riguardo invece il professore Lovetti cosa ha da dirci?>> chiese Longobucco mantenendo uno sguardo invece molto serio.
<<Anche Lovetti non ha mai avuto screzi con gli studenti ed è un professore molto preparato, tanto è vero che insegna materie fondamentali come Topografia e Tecnologia delle Costruzioni.>>
Il maggiore Longobucco si rese conto che il preside Martini era l’unico che poteva dare delle informazioni su Casari e Lovetti, comunque dei dettagli che riguardavano solo la loro professione. Entrambi erano single come De Santis e pertanto erano più agevolmente liberi di operare come meglio credevano, qualora fossero stati i killer o i complici e pertanto questo dettaglio accresceva la convinzione del capo RIS che loro fossero i primi sospettati. Così come il loro quarto amico don Claudio Casnaghi, invece “sposato” con il “Signore”, molto probabilmente controllato da esso, ma non consultabile, purtroppo, per le indagini. Cosicché il sacerdote venne convocato quel giorno, anche per un ulteriore approfondimento riguardo la sua amica Sabrina Miccio, appena defunta nei giorni scorsi.
<<Valeria De Marchi ci ha dichiarato che Sabrina Miccio sarebbe andata a vivere con lei, erano amanti e pertanto non poteva essersi suicidata. Infatti siamo pienamente convinti che lei sia stata indotta con la forza a farlo, proprio dal serial killer, perché poteva averlo scoperto oppure aveva qualche particolare importante da comunicarci su di lui. Possibile che lei non abbia qualche cosa da aggiungere rispetto a quanto ci ha già comunicato l’altro giorno? Qualcosa che esuli dal segreto confessionale ma che potrebbe essere utile per le nostre indagini?>> chiese con tono inquieto il tenente Gornati.
Il sacerdote Casnaghi, prima di rispondere, osservò con sguardo quasi miserevole le tre persone davanti a lui e disse lentamente:
<<Negli ultimi anni e cioè da quando mi hanno fatto parroco della chiesa SS. Gaudenzio di Gambolò, ho avuto contatti con la carissima defunta Miccio solo quando lei se la sentiva di confessarsi da me. Sabrina mi aveva più volte invitato a uscire con lei per bere qualcosa ma io ho sempre declinato il suo invito perché, come ben sapete, in un piccolo paese come Gambolò…>>
<<No, non sappiamo perché, ce lo dica don Casnaghi perché>> chiese la detective Leoni.
<<Perché in un piccolo paese la gente mormora e maligna in fretta che io possa invaghirmi di una donna e abbandonare la toga. Così giungerebbe all’orecchio del Vaticano e rischierei la scomunica.>>
La detective crollò il capo e sbuffò leggermente pensando: “Esagerato!”
<<Insomma non ha niente da aggiungere in merito? >> chiese questa volta con tono scocciato il tenente Gornati e il sacerdote rispose con un secco:
<<No!>>.
Il vice capo RIS incalzò ancora con una domanda:
<<Come ha conosciuto la Miccio?>>.
<<Siamo nati entrambi a Vigevano ed eravamo insieme alle scuole dell’obbligo. Terminate le medie io andai in Seminario e le nostre strade si separarono. Come già sapete ci siamo ritrovati come colleghi nell’Istituto “Francesco Selmi” e anche residenti nello stesso paese.>>
Per terminare, il maggiore Longobucco gli chiese con decisione:
<<Dov’era la notte tra il 23 e il 24 maggio?>>.
<<Sono andato a letto presto dopo le preghiere perché il mattino seguente dovevo celebrare la Santa messa delle 7 e 30 in duomo a Vigevano, in sostituzione di Don Giuseppe malato>> rispose don Claudio, osservando i tre, questa volta con sguardo di sdegno.
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