I like to kill – Chapter 22
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In un attico di un palazzo del centro, c’era un ragazzino nella sua cameretta che continuava a ripetere la stessa frase:
<<Scende la pioggia, ma che fa, crolla il mondo addosso a me, per amore sto morendo… Scende la pioggia, ma che fa, crolla il mondo addosso a me, per amore sto morendo… Scende la pioggia, ma che fa, crolla il mondo addosso a me, per amore sto morendo…>>
<<Basta Raimondo! Su dai, ora andiamo in bagno che ti devi lavare.>>
Lo interruppe l’infermiera Evelina accarezzandogli teneramente il capo. La donna, pelle bianca come il latte, dal viso acqua e sapone e dallo sguardo sveglio con occhi castano chiari, era un’infermiera specializzata nell’accudire bambini con gravi problemi di autismo. Essa, prima di accompagnare il ragazzino in bagno, fece un lieve sorriso allargando le sue labbra rotonde, pitturate con rossetto long lasting rosa e disse a sé stessa:
“Certo, povera creatura, ho visto la pioggia insieme a lui dalla finestra e mi sono messa a cantare la famosa canzone di Gianni Morandi e ora lui ripete a memoria il ritornello, ininterrottamente.”
La donna scrollò il capo e accarezzò di nuovo la testa di Raimondo e pensò che egli fosse veramente sfortunato, con la madre Augusta che aveva divorziato subito dal padre Giorgio, non appena i medici avevano diagnosticato al figlio, solo dopo due anni di vita, che era affetto gravemente da autismo. Spaventata dall’idea di dover sacrificare il suo status symbol, abbandonò, per sempre, in un colpo solo, marito e figlio. Il padre Giorgio, Giorgio Martini nonché stimato preside dell’Istituto Tecnico Statale “Francesco Selmi” si trovò, dall’oggi al domani, in braghe di tela e costretto ad assumere una donna factotum in grado di accudire il figlio e sbrigare le pratiche di casa. Ma ci fu, in pochi mesi, un frenetico tourbillon di licenziamenti e assunzioni dell’infermiera specializzata, data anche la particolarità delle mansioni che non erano in grado di sostenere e l’incompatibilità di carattere col bambino, tanto che le agenzie furono addirittura costrette a revocare il contratto di procacciamento del personale, stipulato con Martini. Finché finalmente il preside trovò la bravissima Evelina Donadello, competente, paziente, sveglia, preparata e in grado di fare anche da insegnante di sostegno a Raimondo. Insomma una factotum di alto livello, quasi come una seconda madre, che percepiva uno stipendio, strameritato, quasi alla stessa stregua di un compenso riconosciuto a un alto quadro dirigenziale. Uno stipendio comunque riconosciuto anche per speciali mansioni extra, richieste dal suo generoso datore di lavoro.
Intanto, nella zona giorno dell’appartamento, Giorgio Martini si trovava nel suo studio seduto alla scrivania. Guardava concentrato il monitor del PC nella semioscurità della stanza. La luce del monitor illuminava il suo viso e la sua testa pelata impallidita riflettendosi sui soliti occhiali bifocali esageratamente démodé. Egli aveva creato un account privato facebook sotto falso nome ed era riuscito ad avere l’amicizia con la studente Caterina Donati e la giovane professoressa Marina Lo Monaco. Le due donne, a loro insaputa, erano oggetto di costante e quotidiana osservazione libidinosa del loro preside. Il “social guardone” faceva degli screenshot delle loro pose più succinte, per poi ingrandire le parti delle immagini che lui riteneva più erotiche e più stimolanti per le sue fantasie immaginarie. Egli sognava, a occhi aperti, di averle nude nel suo letto in camera e di poterle trattare come delle schiave, oppure come delle concubine che esaudivano ogni suo desiderio sessuale.
E si ricordava, con molta nostalgia, quando, non molto tempo addietro, il professore Tiraboschi gli raccontava delle sue innumerevoli esperienze sessuali con le studentesse e le colleghe facendolo eccitare all’inverosimile. Comunque Martini, grazie al social network, aveva la possibilità virtuale di sopperire ai racconti del suo caro amico defunto Tiraboschi. Così egli era pronto, con i calzoni e gli slip tutti abbassati ai piedi, il sedere nudo sulla sedia e infoiatissimo sotto l’ombelico. Bussarono alla porta del suo studio e lui disse:
<<Prego, avanti.>>
Ed entrò Evelina.
<<Ciao cara, mio figlio si è addormentato?>>
La donna annuì, si sciolse i suoi lunghi capelli naturali rossi e si tolse la vestaglia mostrandosi completamente nuda. Con la sua corporatura alta, dolcemente rotondetta ma con seni piccoli da ragazzina, la facevano sembrare, nella penombra, come la Venere di Botticelli con le parti intime scoperte.
<<Ora Evelina vieni a gattoni pian piano qui da me sotto la scrivania. >>
E anche quella volta la donna adempì alla speciale mansione extra, richiesta dal suo datore di lavoro.
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