> CAPITOLO 31 < I LIKE TO KILL

I like to kill – Chapter 31

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Le normali attività didattiche erano terminate in tutta l’Italia e in tutte le scuole superiori si stavano svolgendo gli esami di maturità. Nell’Istituto Tecnico Statale “Francesco Selmi” di Vigevano non erano esami consueti come negli altri istituti. Aleggiava nell’aria un clima pesante di paura. Non si trattava del timore che attanaglia ogni maturando che non si senta pronto per il rush finale, ma di vero e proprio spavento per quello che avrebbe potuto ancora commettere l’Aforista.

Chi avrebbe ucciso? E poi perché il serial killer uccideva?

Dal canto suo, Salvatore Longobucco sentiva che la risoluzione del caso era vicina, aveva la profonda sensazione che l’assassino avrebbe commesso un passo falso e pertanto andò a verificare in prima persona, da solo, il luogo dove era avvenuta la disgrazia al collega Gornati; perché il capo RIS era convinto che non si trattasse di una fatale disgrazia ma di un omicidio perpetrato dal serial killer e i suoi complici, facendo credere che fosse un incidente oppure un suicidio.

Il maggiore percorse la Vigevanese verso Milano e, non appena trovò un distributore automatico di carburante, si fermò per fare rifornimento. Scese dalla sua Alfa, infilò due banconote da venti euro nell’apposita fessura e poi infilò la pompa nel bocchettone dell’auto. Mentre il contagiri degli euro scorreva inesorabile, arrivò una giovane donna in auto che si fermò dietro Longobucco per fare anche lei rifornimento. Il capo RIS notò che, sul sedile posteriore dell’auto della donna, c’era seduto un bambino sul seggiolino.

“Che bel bambino, dovrebbe avere qualche mese in meno rispetto al mio Luca,” egli pensò.

E mentre terminò di fare rifornimento restò a guardare il piccolino, prima di salire sull’Alfa.
Furono pochi secondi durante i quali rimase incantato dai piccoli occhi chiari e luminosi di gioia che lo fissavano e dalla sua piccola bocca sorridente.

Il capo RIS ripartì e arrivò al secondo incrocio col semaforo, nella periferia di Abbiategrasso, poi seguì le indicazioni del navigatore satellitare della sua auto, che lo portarono all’inizio della strada “Chiappana”. Vide il segnale stradale che indicava la presenza di cordoli di rallentamento e, mentre procedeva a bassa velocità, intravide alla sua destra una palazzina a due piani tinta di bianco e sporca d’umidità e, alla sua sinistra, una scuola costruita quasi completamente con pannelli prefabbricati. Una volta passato il tratto di strada con i cordoli, lasciò alla sua destra una casa indipendente, nel cui cortile c’era un cane che abbaiava, come per dargli il benvenuto.

Ebbe inizio il percorso che scendeva gradatamente verso la valle del Ticino ed effettivamente fino al quel punto il maggiore Longobucco non vide nessuna videocamera di sorveglianza sulla strada. Un grande abete sulla sinistra copriva tutta la visuale della valle e sulla destra il capo RIS notò ampie distese di risaie. Egli incrociò un uomo che faceva footing indossando un gilet arancione ad alta visibilità e procedeva lasciandosi il grande pino alle spalle, lungo una serie di tralicci dell’alta tensione che accompagnavano lunghi fossi. Non sfuggì alla vista di Longobucco un traliccio tutto coperto di foglie che gli fece pensare sardonicamente:

“Dove l’uomo pone la sua virtù necessaria e utilitarista, la natura la ricopre camuffando un’opera di inquinamento perenne.”

Continuò il percorso pian piano cercando sempre di scrutare qualche piccolo particolare che potesse essere utile all’indagine. Incrociò un altro uomo che faceva footing indossando stavolta un gilet rosso e poi incrociò anche un paio di auto che si accostarono sul ciglio della strada, perché stretta, che il maggiore attraversò ringraziando con la mano. C’erano parecchie indicazioni di cascine. La prima, con evidente cartello blu e scritta bianca, indicava cascina Ronchi e il maggiore notò anche i resti di una casa colonica abbandonata vicina al ciglio della strada. Da una parte e dall’altra, rispetto alla strada, c’erano prati verdi e campi arati pronti per la semina, oltre a ulteriori coltivazioni di riso. A un certo punto il capo RIS vide, in lontananza, un inizio di fitta boscaglia e quindi capì che si stava avvicinando al parco del Ticino. Pertanto la cascina che intravide alla sua sinistra e un grande fienile all’aperto, vicini alla strada, erano sicuramente le ultime strutture agricole. La strada asfaltata era completamente all’ombra di piante alte, con lunghi rami piegati a formare un’enorme galleria verde.

Longobucco parcheggiò l’Alfa nello spiazzo sterrato con pochi alberi e, una volta sceso, si incamminò direttamente verso il fiume. Mancavano pochi metri alla riva e notò che l’argine era piuttosto alto rispetto al livello dell’acqua; inoltre c’erano dei massi incastrati nella terra del breve pendio. Guardò il tratto sterrato appena percorso a piedi e poi la discesa che portava al fiume e così si accese una sigaretta, presa da un pacchetto acquistato poco prima in una tabaccheria, prima di giungere ad Abbiategrasso. Era da parecchio tempo che il capo RIS non fumava. Precisamente da quando era morta la sua ex collega criminologa nonché ex amante Matilde Vergani. L’uomo, mentre fumava e guardava il luogo dell’ipotetica disgrazia, pensò alla scena che sarebbe avvenuta, dell’auto che percorreva il tragitto di strada sterrato, scosceso e impervio fino a entrare nel fiume. Rimase a osservare il luogo fino a quando non terminò di fumare la sigaretta.
Nel frattempo la detective Leoni e il maresciallo Pennetta erano anche loro ad Abbiategrasso e avevano posto delle domande al cugino del tenente Gornati, apprendendo che egli si era trovato col vice capo RIS in un bar, in tarda mattinata e aveva bevuto un drink con lui. Poi l’aveva invitato a casa sua a pranzare con sua moglie. Era rimasto nella sua dimora anche a cena e intorno alle 21 e 30 se n’era andato. Ma sia a pranzo che a cena aveva bevuto del vino moderatamente.

Longobucco era tornato alla propria auto ed era ripartito insoddisfatto pensando che sarebbe stato il caso di tornare la sera stessa perché al buio, magari, potevano emergere dei dettagli che non si vedevano alla luce del sole. “Magari la luce della luna potrebbe svelarmi nell’oscurità della notte qualcosa, speriamo,” disse a sé stesso l’uomo.

Non appena egli passò di fianco a una cascina, arrivò frontalmente un’auto e questa volta si fermò lui per farla passare. Ma, mentre era fermo in folle, gli scappò l’occhio sullo specchietto retrovisore e vide un uomo vestito in modo bizzarro che comparve sulla strada, osservò il retro della sua Alfa e rientrò nel cortile della cascina. Il capo RIS sorrise leggermente e ripartì per andare nel centro cittadino per mangiare un boccone.


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