I like to kill – The return of the Aphorist
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L’anziana donna Giovanna stava dormendo su un letto, nella sua camera singola della Casa di cura “Le Betulle”. Il silenzio avvolgeva prepotente l’ospizio come premonizione di un qualcosa di demoniaco che stava per accadere. Lo stesso silenzio che aveva accompagnato la povera Giovanna per molti anni, da quando era stata colpita da un ictus. I segreti malvagi tenuti dentro di sé, nel suo cuore e nella sua mente, si sarebbero forse sprigionati un giorno, anche non molto lontano, nell’aldilà, al cospetto del giudizio divino. Essa dormiva dolcemente, sognando forse un passato di gioventù corrosa da accadimenti molto drammatici e poco gioiosi. Il sonno era profondo ma tutto a un tratto la donna aprì gli occhi e s’accorse di un’ombra misteriosa che le si avvicinava. L’ombra incombeva sulla donna, spettrale e impietosa. Finché delle mani ricoperte da guanti in lattice, le tapparono la bocca e chiusero “a pinza” il suo naso per alcuni secondi, quel tanto che bastarono per farla soccombere. Nel frattempo, il figlio della donna anziana passata a miglior vita, era seduto su un divano in un appartamento oscuro, appena fuori dal centro di Vigevano.
L’uomo dalla voce di bambino era pronto per procedere all’atto finale richiesto dal demonio:
l’eliminazione dell’ultima vittima.
<<Ciao Geppo, Lucifero mi ha ordinato di uccidere l’uomo a casa sua. Mi ha detto che non metteranno il suo cadavere davanti la chiesa di San Pietro Martire, perché tutti i luoghi di culto cristiano del centro sono piantonati giorno e notte dai carabinieri e militari. Non verrà pertanto completato il piano diabolico di Lucifero, ma mi ha detto che potremo comunque fare la mia cerimonia di nuovo adepto della setta di Satana. Mi comunicherà il luogo a breve. Ho preparato l’ultimo aforisma:
“L’inferno è la sofferenza di non poter più amare. (Fëdor Dostoevskij)”.
Ti piace Geppo? >>
Passarono dei minuti e l’uomo si sentì pronto per l’ultima macabra avventura.
Nell’abitazione del preside Giorgio Martini dormivano tutti tranne che Martini stesso. L’uomo aveva già goduto delle virtù corporali della bravissima Evelina Donadello, insegnante factotum del figlio autistico Raimondo, ma anche appagatrice dei suoi più svariati desideri sessuali. Anche la donna era molto soddisfatta del compenso che percepiva, ogni fine mese, dal suo personale datore di lavoro. Martini era ancora sveglio davanti al proprio computer. Si divertiva come solito a girovagare su facebook, sotto mentite spoglie. Aveva archiviato vari screenshot delle foto più sexy delle più belle alunne dell’Istituto e delle sue professoresse preferite. Era talmente impegnato a soddisfare i suoi sconfinati desideri sessuali, che non si accorse di avere di fronte a lui l’Aforista in carne e ossa, proveniente dall’oscurità della camera. Il killer era entrato furtivamente nell’appartamento e aveva narcotizzato la donna e il ragazzo. Sapeva che Raimondo era autistico e colto da compassionevole tenerezza gli accarezzò il capo.
“Ucciderò quel viscido di tuo padre, ma sicuramente verrai affidato a persone perbene,” disse fra sé e sé l’Aforista.
La punta del martello tira chiodi spuntò dal buio della stanza e finì inesorabile sulla fronte della vittima, frantumandogli gli occhiali da vista. Gocce di sangue e pezzetti di lente finirono sul monitor del PC. Il killer afferrò il preside sanguinante per il collo della camicia e lo scaraventò per terra. Gli strappò la camicia e gli conficcò il punteruolo dritto nel cuore. Infine, lo trascinò fin sotto lo stipite della porta, dove c’era appeso un crocifisso sul muro, e gli conficcò la siringa, contenente l’aforisma, nell’occhio sinistro.
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