I like to kill – Chapter 33
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Il ragazzino si svegliò di soprassalto ed ebbe un attimo di smarrimento totale, non sapeva chi fosse e dove si trovava; ma, dopo qualche secondo di appannamento si ricordò chi era: Raimondo Martini. Egli si alzò, tirò su la tapparella e vide un bellissimo cielo azzurro e stormi di uccellini che volavano nel cielo.
“Strano che Evelina non è venuta come solito a svegliarmi,” pensò e così andò in cucina per vedere se fosse là, ma fu inutile: Evelina non c’era. Raimondo ebbe di nuovo un trasalimento. Il cambio di abitudine lo destabilizzava. Ma riuscì a riprendersi e si diresse verso la camera della donna, ma trovò la porta chiusa. La chiamò per ben tre volte ad alta voce e non ottenne nessuna risposta. “Speriamo che non stia facendo le cose sconce con il mio papà, di solito le fanno alla sera,” disse fra sé e sé e andò a vedere con circospezione se fossero nello studio. Ma Raimondo non aveva voglia di assistere al solito spettacolino dei due, perché era mattino. Come da consuetudine, a lui piaceva farlo alla sera, guardarli di nascosto e masturbarsi con passione. La speranza di trovare il padre non fu disattesa ma risultò corredata di un tragico risvolto: lo trovò che giaceva senza vita, tutto insanguinato e con una siringa infilata nell’occhio sinistro. Mentre il ragazzino rimase come paralizzato, in piedi, a guardare il cadavere del padre, la quiete macabra e surreale venne interrotta dall’urlo straziante di Evelina che, nel frattempo, si era svegliata e aveva appena fatto anche lei la raccapricciante scoperta. La donna accorse subito ad abbracciare Raimondo, lo sollevò, lo portò nella sua cameretta e prima di chiamare i Carabinieri, telefonò subito alla zia del ragazzino perché accorresse in loro aiuto.
Longobucco stava facendo colazione alla locanda Vesuvio in Vigevano, senza la compagnia del povero collega Gornati. Il capo RIS pensava alla sua mesta fine e confidò che dalle targhe memorizzate dall’uomo bizzarro, potesse uscire il nome dell’assassino o perlomeno quello dei suoi complici, così che la brutta morte del tenente non fosse stata vana. Egli guardò l’orologio e sperò che il collega Aldo fosse andato, per l’occasione, un po’ in anticipo in ufficio, affinché potesse avere quanto prima i nominativi. Quando Longobucco stette per alzarsi da tavola, sentì il segnale acustico dal suo smartphone. Gli arrivò un lungo messaggio dal collega:
– Ciao Salvatore, la targa FM234MK è assegnata a un auto Pegeout intestata a un certo Daniele Casaccia di Abbiategrasso, mentre la targa CP253DV è assegnata a una Renault Clio di una Rent a Car di Porta Genova a Milano, ti farò avere quanto prima anche il riscontro delle altre targhe.
Poi l’amico collega lesse nel pensiero di Longobucco quelle che erano le sue tempestive intenzioni:
– Per avere l’identità della persona che ha noleggiato l’auto ci vorranno parecchie ore, fra un’autorizzazione e l’altra. Faresti prima a recarti personalmente negli uffici di Porta Genova.
E proprio mentre il maggiore si stava recando con la sua Alfa presso la Rent a Car di Milano, ricevette la telefonata dal colonnello Pastori: era stato assassinato il Preside Martini nella sua abitazione. Egli mise velocemente al corrente il comandante riguardo il suo operato ad Abbiategrasso, che lo stava portando a Milano per scoprire, molto probabilmente, l’identità dell’Aforista o perlomeno del complice. Pastori fece le raccomandazioni al capo Ris di stare molto attento, vista l’ultima sospetta tragica disgrazia accaduta a Gornati e lo tranquillizzò che sarebbe andato lui, al suo posto, sul luogo del delitto con la squadra Ris. Longobucco ringraziò il comandante e chiuse la comunicazione dicendogli che non appena sarebbe arrivato negli uffici della Rent a Car lo avrebbe subito contattato per le novità importanti.
Ma il tragitto fu molto più lento del solito, a causa di un grave incidente avvenuto sul tratto stradale tra Corsico e Milano e il capo Ris si rammaricò di non avere in dotazione un girofaro portatile. Arrivò in coda, a passo d’uomo, dopo più di un’ora e un quarto, a circa cinquanta metri dal punto d’impatto dell’incidente. Nel frattempo erano già passate, a sirene spiegate, due auto della polizia stradale, un camion dei vigili del fuoco e un’ambulanza. In quel lasso di tempo che sembrò interminabile, egli pensò alle quattro persone sospette che potrebbero aver preso il treno locale sulla tratta Mortara-Milano Porta Genova. Si immaginò il sacerdote Casnaghi, in borghese, seduto e impassibile che guardava dal finestrino. Oppure il barista De Santis, il bidello Casari. E pensò che se fosse Casari l’Aforista, nelle sue condizioni avrebbe sicuramente avuto un complice al suo fianco. Infine il professore Lovetti che potrebbe aver preso invece il treno dalla stazione della sua Mortara.
“Ma poi siamo sicuri che i complici siano da scovare fra i quattro amici? Potrebbero anche essere una o più persone al di fuori di loro. Una persona dell’Istituto Tecnico, oppure da ricercare nelle forze dell’ordine, come era successo in quella disgraziata circostanza col caso Atropo di Monza. Ci siamo troppo concentrati su quei quattro trascurando altri elementi utili all’indagine. Quel bastardo del killer e i suoi complici hanno sfruttato il ‘fattore tempo’ uccidendo ben quattro vittime, come mai mi è capitato di vedere nella mia carriera, in un periodo breve quanto questa stagione primaverile terminata da poco.” Mentre rimuginava fra sé queste ultime considerazioni, vide due automobili le cui marche erano irriconoscibili talmente erano distrutte. Arrivato a pochi metri di fianco alle stesse egli fu finalmente risollevato di poter continuare regolarmente il suo percorso, ma rattristato per la scena che i suoi occhi videro fugacemente: c’erano due cadaveri, irriconoscibili, appena adagiati dai vigili del fuoco sull’asfalto, che vennero subito coperti da grossi lenzuoli bianchi.
Longobucco arrivò finalmente, poco dopo le 11, a destinazione. Entrò nell’ufficio, mostrò il suo distintivo a un uomo seduto a una scrivania. L’uomo era piuttosto corpulento e aveva l’aspetto più di un meccanico che di un impiegato. Aveva lo sguardo svogliato di una persona che dava l’impressione di trovarsi lì, come punizione, per non aver svolto bene il suo lavoro di competenza. Guardò però il distintivo accuratamente e dopo qualche secondo adempì subito al volere del maggiore.
Il capo Ris ebbe il nominativo della persona che aveva preso in noleggio l’auto. Non appena vide il nome scritto sul foglio disse a bassa voce:
<<Figlio di una gran puttana!>>
Prese il suo smartphone e contattò subito il comandante Attilio Pastori.
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