> CAPITOLO 7 < IL MARE FRA DI NOI

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SECONDA PARTE: BRASIL


L’ora della partenza è arrivata, e noi andiamo in direzioni diverse, io verso la morte e tu verso la vita. Quale di questi due sia meglio solo Dio lo sa.
(Socrate)

“Allora signor Garavaglia, mi state prendendo in giro? Il signor Biraghi mi aveva assicurato che avreste consegnato il mio ordine entro questa settimana. Abbiamo assolutamente necessità di ricevere le schede elettroniche entro massimo, massimo nei primi giorni di settimana prossima, altrimenti saremo costretti ad addebitarvi i costi di fermo produzione e le assicuro che saranno cospicui!”

Mentre il cliente, adirato, mi stava sollecitando la consegna di un ordine d’acquisto, pensai che mi sentivo nel medesimo stato d’animo di quando ebbi problemi di deficit erettivo con la mia Lucilla: vera e propria impotenza. Sì, impotenza perché mi sentivo completamente avvilito, nell’impossibilità di poter fare qualcosa di sostanzialmente pratico per anticipare la consegna dei prodotti. Ogni volta, e capitava spesso, mi toccava arrampicarmi sugli specchi affinché riuscissi a tranquillizzare il cliente e così guadagnare tempo:

“Guardi signora De Cecchi che purtroppo non è possibile. Le schede sono in progettazione, poi seguirà il collaudo e la masterizzazione. Pertanto, ci vorranno almeno, purtroppo, ancora dieci giorni lavorativi, di meglio non si può fare, purtroppo”.

Usai volutamente l’avverbio purtroppo per ben tre volte affinché riuscissi a rasserenare un pochino il cliente. Ma in quel momento mi sentii una vera e propria merdaccia, un Fantozzi vero e proprio e maledii il mio collega venditore Biraghi che concordò degli ordini di schede elettroniche, da vari clienti senza preoccuparsi delle tempistiche di consegna. La signora De Cecchi mi rispose con un laconico vabbè e interruppe il collegamento telefonico senza neanche salutare.

“Stronza!” pensai fra me e me. La giornata si svolse con ben sette analoghi solleciti di ordini, sempre di clienti seguiti da quell’inetto (per non dire imbecille) di Biraghi. Inoltre, ci furono problemi con i nuovi programmi gestionali di caricamento ordini, a causa delle falle software. “Emeriti dementi dell’ufficio IT”, pensai invece di loro.

Insomma, considerando anche il fatto che, la notte precedente non chiusi praticamente occhio, per la mia avventura con Mariana, quello fu veramente un giorno di merda. Sembrò quasi che il destino mi facesse pagare dazio, per il mio adulterio. Ma i giorni seguenti furono sempre così sul lavoro e, a casa con mia moglie, i rapporti erano sempre più freddi. Facevamo l’amore di rado e in maniera insoddisfacente, fino ad arrivare al punto che ormai non ci cercavamo più. Alla sera venivo sempre corteggiato attraverso WhatsApp da Mariana. Quello che mi stupii di lei fu il fatto che non andava mai fuori dalle righe, manteneva sempre un atteggiamento delicato e non volgare. Poi le sue foto dei luoghi della sua terra erano incantevoli. I giorni passavano tutti uguali, al lavoro e a casa. Ormai io e Lucilla eravamo come fratello e sorella. Io mi sentii frustrato come uomo e senza progetti che mi dessero entusiasmo, per continuare almeno a sopravvivere, in quella situazione. Sì, sopravvivere era la parola appropriata in quel periodo. Anche il mio hobby (scrivere romanzi) lo misi da parte, perché mi sentivo vuoto, senza idee e apatico. Così, un giorno, quando arrivai addirittura al punto di avere idee malsane di suicidio, decisi di rivoluzionare la mia vita e accettai l’invito della mia amante brasiliana, di andare da lei e quindi scappare via da tutto e da tutti. Lo so, è da pazzi, ma ora sono sull’areo diretto a San Paolo e Mariana mi attende.

Il velivolo procede regolare nella sua rotta in direzione di San Paolo del Brasile. Il comandante di bordo ha appena comunicato che mancano circa 5 ore all’atterraggio. Ormai mi sono tranquillizzato, non ho più nessuna paura. Rispetto al decollo, l’atterraggio mi mette decisamente meno ansia. Anche se la fase della discesa è statisticamente la più pericolosa, mi sento più sereno. Questo è ora il mio stato d’animo. Così penso fra me e me: “Più l’aereo si avvicina al suolo terrestre e maggiore è la possibilità che i passeggeri si salvino, anche se malauguratamente il motore dovesse avere un’avaria. Certo che se il velivolo dovesse esplodere, allora non ci sarebbe via di scampo per nessuno, al decollo, in volo a 10.000 di altezza e anche all’atterraggio”. E penso che è un po’ come nella vita: da giovani si ha di sovente l’ansia e la preoccupazione per l’avvenire, ma poi si procede lungo la strada della propria esistenza e, se non si hanno intoppi, si va verso la vecchiaia. Se la salute ti assiste, si può essere sereni fino all’ultimo dei tuoi giorni. Durante le ore trascorse del viaggio, fino a questo momento, ho dormicchiato a intervalli di circa mezz’ora e, a ogni risveglio, ho ascoltato musica con le cuffiette, dal mio vecchio lettore MP3. Ora sto ascoltando vecchie canzoni degli anni ottanta, per me le migliori, sicuramente perché mi ricordano la mia gioventù adolescenziale, fino ai vent’anni. Fantomatici esperti e intenditori di musica hanno criticato quel genere musicale improntato sulla strumentazione elettronica, ma oggi che musica c’è?

Chissà perché negli novanta e duemila, hanno fatto parecchie cover musicali delle canzoni degli anni ottanta? E attualmente ce ne sono ancora! No comment!
Così, nei giorni precedenti al volo, ho preso la pazza decisione di lasciare tutto alle spalle nel più puro senso pratico della frase. Lasciare la moglie e un fratello che, probabilmente, si sarebbe accorto della mia mancanza ai notiziari della TV. La moglie, invece, si sarebbe naturalmente accorta subito, in serata, viste le mie giornate fatte di orari regolari al rientro dal lavoro: entro le 19, salvo ritardi del pendolino da Milano, comunque variabili dai 15 ai 30 minuti massimo. Ma, prima di partire, ho programmato ogni cosa, nei minimi dettagli e fra questi una lettera scritta a mano, che Lucilla avrebbe ricevuto a domicilio, sicuramente entro una settimana. La stessa inserita in una busta e imbucata nella casella postale dell’aeroporto della Malpensa. Non ho dovuto preoccuparmi per i miei genitori perché sono mancati da alcuni anni. Prima lasciò la vita terrena mio padre per un infarto fulminante. Si dice che sia la morte migliore. Si muore senza soffrire e puff, non ci sei più da un momento all’altro. Anche a me, tutto sommato, non mi dispiacerebbe morire come mio padre, ovviamente il più tardi possibile; ma se proprio dovesse capitarmi, spero di rendermene almeno conto, giusto quei pochissimi secondi per salutare il mondo. Mia madre decise di morire anche lei, dopo alcuni mesi dal decesso di mio padre. Si lasciò andare, non mangiò più. Le sue difese immunitarie si ridussero al minimo, fino al punto che, alla prima influenza, ebbe un’infezione polmonare che fu per lei letale. Si può dire che i miei genitori morirono romanticamente, alla stessa stregua dei pappagallini inseparabili. Ho lasciato anche il lavoro fisso. Lo so, anche questa è una pazzia, ma non ne potevo più. La monotonia, l’insostenibilità e l’intollerabilità sul lavoro mi stavano comunque portando alla pazzia; tanto è vero che pensieri funesti avevano attraversato la mia mente. Ero arrivato al punto di pensare che, se avessi vissuto negli States, avrei acquistato un arsenale da guerra e avrei accoppato volentieri un po’ di gente che non sopportavo più. I primi “fortunati” destinatari della mia ira sarebbero stati i miei colleghi più “simpatici”. Chi si ricorda il film interpretato da Michael Douglas “Un giorno di ordinaria follia”?
Come al solito sono un esagerato. Lo so, quando sono sotto stress, entro in una preoccupante fase di delirio, ma poi mi passa e mi pento di quello che ho detto o pensato di malsano. Per fortuna non li ho mai messi in pratica. Ma questa volta mollare tutto e tutti, sì e mi stupisco di me stesso. In questo momento mi pare di non essere neanche Giulio ma un’altra persona: un attore di un film drammatico.

Il mio bagaglio a mano è stracolmo del farmaco” Salvo”. Anche se Mariana mi ha garantito che il medicinale, necessario per la cura della mia patologia ipofisaria, è acquistabile, senza problemi, anche in Brasile, io comunque non mi fido e per ogni evenienza ho fatto una buona scorta. Una scorta sufficiente per parecchi mesi.

Chissà, poi, se con Mariana potrebbe nascere qualcosa che non sia solo sesso e riusciremo a conoscerci meglio? Insomma, la revolução che ho deciso di intraprendere nella mia vita è come giocare alla roulette del Casinò, dove la posta in palio è il mio futuro.

Intanto il tempo è passato e non mi sono più addormentato. Cerco di rimanere sveglio perché non mi voglio perdere il panorama dall’alto, quando saremo sopra la terra sudamericana. Ascolto sempre le canzoni anni 80 dal mio vecchio MP3. L’aereo, fra poco, sorvolerà la prima città brasiliana: Recife. In questo momento si vedono solo nuvole bianchissime e mare azzurrissimo. Manco farlo apposta, ho appena finito di ascoltare “I fly for you” degli Spandau Ballet e sta cominciando la canzone “Gente di mare” di Tozzi e Raf e mi viene già un sentimento nostalgico del mio Belpaese. “Cominciamo bene!” dico a me stesso e così spengo il lettore MP3. Guardo ancora le nuvole e gli scorci di mare dal finestrino. “Ma vai a quel paese nostalgia! Devo reagire!” E accendo di nuovo il piccolo apparecchio che ricomincia dal punto della melodia che avevo interrotto:
“… Eppure abbiamo il sale nei capelli, del mare abbiamo le profondità e donne infreddolite negli scialli che aspettano che cosa non si sa… ”
La tristezza mi attanaglia ancora il cuore, ma resisto, non fermo la canzone. Penso che sarà dura allontanarla, dipenderà tutto da Mariana. Mi auguro che, nonostante le difficoltà della lingua, comunque non insormontabili, ci sarà un dialogo più approfondito con lei affinché potremo affinare di più il nostro rapporto. Penso però che sarà dura, la forte attrazione sessuale fra di noi prevarrà come una lava che esce da un vulcano in attesa di eruttare da parecchi giorni. E questa volta non ci sarà il mare a dividerci. E penso ancora alle parole scritte via chat a Mariana: “Ho deciso di mollare tutto e venire da te. Però mi devi promettere che mi troverai un lavoro, anche da cameriere va benissimo. Tu sei ricca, ma io voglio la mia indipendenza.”

Quando ero un ragazzo studente, per racimolare qualche lira per i miei svaghi, nelle vacanze scolastiche estive, facevo il cameriere in un bar di Piazza Ducale del mio paese (Vigevano) e pertanto non mi dispiacerebbe affatto fare questo lavoro, anche in terra straniera. Grazie all’aiuto di Mariana imparerei più velocemente il portoghese. Tiro un sospiro speranzoso di sollievo e intanto è terminata la canzone di Tozzi e Raf. Spengo il lettore MP3 e osservo le persone accanto a me. È pazzesco, ma da quando è partito l’aereo e mi sono seduto vicino al finestrino, ho avuto solo occhi per guardare il panorama dall’aereo e davanti a me con lo sguardo perso nel vuoto, ascoltando le canzoni e poi sonnecchiando. C’è un uomo, di fianco a me, alla mia sinistra e noto che ha un’incredibile somiglianza con Daniel Craig. Ha gli occhi chiusi perché sta dormendo. A un tratto, come se in quel momento percepisse di essere osservato da me, apre gli occhi, gira lo sguardo verso il finestrino e mi sorride. Io contraccambio il sorriso facendo finta di niente. Ed effettivamente noto che non è lui, ma gli somiglia molto. Comunque, anche se, in pochi secondi, ho pensato di aver accanto il mio attore preferito nella parte di James Bond, mi sono esaltato e mi è passata la ventata nostalgica di prima.

Mi volto di nuovo verso il finestrino e canticchio nella mia testa la melodia classica di 007.
“Dal Brasile con Amore”, penso e mi metto a sorridere come un ebete.

L’aereo sorvola Recife. Vedo dal finestrino distese di spiagge, all’apparenza interminabili, ai piedi di agglomerati urbani composti prevalentemente da grandi palazzi e grattacieli. L’armonia naturale di barriere coralline e sabbia, è stata, all’evidenza dei fatti, deturpata scelleratamente dagli umani per dare loro dimora. Ora che vedo dall’alto l’ammasso dei grandi edifici, con altezze differenti, noto che c’è una notevole somiglianza con le schede elettroniche prodotte e vendute dall’azienda alla quale ero alle dipendenze, fino a qualche tempo fa. C’è però una sostanziale differenza: nelle schede elettroniche ogni elemento è inserito con una logica, per un’utile e precisa destinazione d’uso, mentre gli edifici e le strade secondo la logica del potere del denaro. Ovverosia: chi ha più denaro costruisce hotel e stabili, o qualsivoglia fabbricati, non seguendo un piano regolatore fatto per una razionale pianificazione urbanistica, ma uno scopo soprattutto utilitaristico.
E penso in cuor mio che sono un disgraziato perché non ho avuto il coraggio di affrontare mia moglie e dirle quello che non andava fra di noi. Ma anche lei è stata compartecipe e nonostante fosse palese il malessere che regnava nella nostra vita coniugale, non ha fatto nulla per reagire e affrontare la crisi. Pertanto vivevamo ancora insieme ma era come se ci fosse il mare fra di noi a dividere i nostri cuori e le nostre menti. Così ho fatto quello che nessuno si sarebbe mai aspettato da me e ora sto volando sopra l’oceano, allontanandomi da mia moglie anche fisicamente. Nella lettera indirizzata a Lucilla ho indicato le mie intenzioni: un viaggio turistico di parecchi mesi in Brasile, come lunga pausa di riflessione. Le ho chiesto quindi di non cercarmi in quanto avevo, nella sostanza, abbandonato il tetto coniugale. Lei poteva disporre di tutto il denaro che aveva sul conto corrente perché eravamo cointestati. Io avevo dato le dimissioni rinunciando al preavviso e avevo fatto fare il bonifico della mia sostanziosa liquidazione (25 anni di attività lavorativa) su una banca di fiducia di San Paolo, indicatami da Mariana. Lucilla poteva rifarsi, nel frattempo, un’altra vita e, anzi, non ci crederete, ma speravo in cuor mio che lei riuscisse a trovare il vero principe azzurro, che aveva sempre sognato da bambina. Sicuramente mia moglie non sarebbe rimasta a vivere a Vigevano da sola e sarebbe andata dai suoi cari genitori e la sorella zitella, residenti a Mortara sotto lo stesso tetto. Così ora l’aereo è diretto verso San Paolo e mancano circa tre ore all’atterraggio. Porto con me nessuna speranza per il mio futuro, se non una grande volontà di dare un drastico taglio alla mia vita noiosa, che ho fatto recentemente fino a ieri.

E penso drasticamente:

” Vida ou morte”.


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