> PROLOGO < MAGENTA ROSSO SANGUE

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“La notte è il momento migliore per sognare a occhi aperti mentre tutto tace intorno. Ma è anche il momento migliore per uccidere.
Lascio scorrere il tempo e sensazioni eccitanti mi colgono perché la mia vittima ha i minuti contati.
Rivedo tra buio, ombre e fioca luce, volti che erano allegri ma che d’ora in poi diventeranno seri e muti per sempre.
Nessuno avrà più parole, il silenzio ruberà i loro ultimi attimi di piacere. Vivi, mia vittima, i tuoi ultimi istanti di vita. Le tenebre non aspettano altro che sottrartela. Non cedere agli incanti del paradiso, ma vivi le tue ultime esperienze carnali, pensando che quello che avrai tu come destino, non l’avrà nessuno e solo tu lo potrai inconsapevolmente godere a poco a poco o senza limiti negli inferi. La morte ti sta attendendo.
E non voltarti mai indietro perchè il sole nasce e muore sempre dalla stessa parte e sogna, vittima sogna, mentre ti avvii verso il futuro di Satana, respirando
l’aria fresca e lurida di un domani meravigliosamente tetro e buio.
Quel che resta della nostra gioventù sono fotografie sbiadite, dove sorrisi sbandierati a profusione sembrano
immagini di felicità racchiusi in brevi spazi temporali.
Il futuro era il nostro domani e si sognava.
Chi non ha avuto una stretta al cuore ricordando momenti
che non esistono più se non nelle nostre menti nostalgiche?
E davanti agli occhi di altre vittime per cui perderò le notti,
forse riuscirò a spiccicare un ciao timido e confuso, mentre
il viso gronderà di sangue fresco e sprofonderà nel buio delle tenebre.”

La mano sanguinante di un ragazzo biondo si impresse su un pilastro di un piccolo portico antistante un negozio di abbigliamento. Rimasero stampigliati sul cemento chiaro, ben nitidi di colore rosso, le cinque dita e il palmo. Il respiro ansimante echeggiava nella notte e insieme anche le urla smorzate dal terrore.

Ma sembrò che tutta la gente rinchiusa nelle loro case, nella città di Magenta, fosse caduta in un sonno, così profondo, da non svegliarsi neanche con la fine del mondo. Il giovane, invece, era desto, non stava sognando, non stava facendo un incubo ed era ben consapevole che fosse molto vicina l’apocalisse. Solo per lui però, in quella lugubre notte di primavera, si stava realizzando la fine inesorabile e drammatica dei suoi istanti di vita sulla terra.

Il palmo della mano destra aveva un taglio profondo, da cui usciva liquido organico rosso, come se fosse caffè espulso da una moka su un fuoco ardente.

Pochi minuti prima, si sentì nel silenzio notturno, il sibilo della lama di un’accetta e la visione della parte finale dell’arto dell’uomo che cercò di proteggersi la testa destinataria del colpo. Alberto era il nome della vittima predestinata che aveva parcheggiato l’auto in Piazzale Kennedy.

Passò la serata con la sua ragazza in discoteca e non appena uscì dall’ utilitaria, doveva percorrere un breve tratto di strada per arrivare alla dimora.

Una delle tante notti, una delle tante sigarette accese, non appena lui metteva piede sul suolo. La sigaretta che si fumava in santa pace dopo aver fatto sesso, poco prima, con la sua ragazza. Luisa, l’anima gemella che non sopportava il fumo. Ma il giovane non riuscì nemmeno ad accendere la Marlboro.

Non appena azionò l’accendino e lo avvicinò alla bionda, si accorse istintivamente, grazie alla sua freschezza giovanile, che qualcuno lo stava aggredendo.

Così riuscì a scappare, ancor prima che l’aguzzino gli sferrasse il secondo colpo di accetta. Il colpo mortale.

Alberto affannosamente non riusciva nemmeno a urlare, chiedere aiuto, perché doveva fuggire. Ma il dolore alla mano era atroce e la scia di sangue sull’asfalto tracciò il percorso che lo portò agli inferi della morte inevitabile.

Alcune primule bianche nella grande fioriera, attigua al marciapiede, vennero macchiate da rosso sangue fresco. Più egli correva e meno energia in corpo gli permetteva di allontanarsi il più possibile dal carnefice. Si stava inevitabilmente dissanguando.

Il predatore, in quegli istanti, ripercorse velocemente nella sua mente, le fasi di pedinamento del ragazzo nelle ore precedenti. Lo vide ballare allegramente con la sua ragazza, nella sala disco revival del “Celebrità” di Trecate.

E poi li seguì, a distanza, al di fuori della discoteca, fino a quando si appartarono in camporella, ignari di avere uno spettatore dei loro amplessi amorosi. E soprattutto Alberto non sapeva che, quelli, erano gli ultimi attimi di suo godimento terreno.

L’inconsapevole ultimo desiderio, prima della condanna a morte.

Il ragazzo biondo arrivò sotto il piccolo porticato, si voltò verso la vetrina del negozio, leggermente illuminata dall’interno e vide la sua immagine riflessa di paura e disperazione. Gli occhi non apparivano più di colore azzurro ma rossi. Rossi di orrore.

Intanto, si sentirono arrivare i passi calmi ma implacabili dell’assassino, sicuro che la sua preda non poteva più correre via perché quasi esamine.

Alberto teneva appoggiate le mani sul vetro e si guardava, mentre delle lacrime di disperazione e dolore gli scendevano dagli occhi cadendo sul marciapiede e unendosi al sangue ancora sgorgante dal palmo lacerato.

Vide riflesso sulla vetrina anche il predatore che era proprio dietro di lui. Portava una maschera di colore verde prato e al posto delle orecchie due tubicini lunghi. Alberto non poteva credere ai suoi occhi: la maschera con tanto di grosso naso a patata e bocca larga con grandi denti bianchi, era proprio del personaggio dell’animazione Shrek.

Era la maschera sorridente e simpatica dell’orco buono, amato dai bambini, ma sulla testa di uno spietato e crudele uomo reale. Quella dell’assassino.

Il secondo colpo d’accetta arrivò inesorabile sulla nuca della vittima che cadde morente sul suolo. Il corpo, ormai senza vita, era prono sulla pavimentazione del porticato e il sangue sgorgava abbondante dalla nuca squarciata.

Il boia pensò a delle parole lette su un sito internet di Chabad, che si ricordava perfettamente a memoria:

“Non c’è nulla dopo la vita perché la vita non finisce mai, piuttosto si eleva e arriva sempre più in alto. Infatti, l’anima viene liberata dal corpo e si riavvicina sempre di più alla sua fonte.”

Aveva in terra, ai suoi piedi,
un corpo composto da tessuti e cellule. Un involucro in cui risiedeva un’anima vivente e l’assassino lo osservò per alcuni istanti, nella speranza che potesse vederla uscire. Il cadavere inerme era solo fatto da carne e ossa, destinato alla putrefazione e niente più. La testa ricoperta dalla maschera di Shrek si piegò leggermente all’indietro e uscì dalla fessura della bocca una fragorosa e macabra risata e alcune parole con voce bassa e rauca:”Pagliacci! Anzi, no, siete tutti quanti come il manichino di questo negozio! Ah ah ah!”
Infine l’assassino estrasse dalla tasca qualcosa: si trattava di una fotografia ritagliata da un quotidiano che pose sulla schiena della sua prima vittima.

Raffigurava il volto di una persona: quella dell’ex Capo RIS di Parma Salvatore Longobucco.


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3 commenti

  1. seankfletcher ha detto:

    An awesome start – had me drawn right in. I’m looking forward to how the story unfolds!

    Piace a 1 persona

  2. craig lock ha detto:

    L’ha ripubblicato su The Writing Life.

    "Mi piace"

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