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<<PARLAMI DELLA GHIAIA SOTTO I PIEDI NUDI. Lo so Sergio, me l’hai già spiegato nell’incontro precedente, ma raccontamelo di nuovo.>>
L’uomo, sdraiato sul lettino nella semioscurità, nello studio privato della sua psicologa, aspirò una lunga boccata e scosse la cenere ancora ardente sul pavimento, ignorando il posacenere. Era il suo modo di esprimere la rabbia e il disagio che quella situazione suscitava in lui.
<<Ti prego di usare il posacenere!>>
<<L’ho mancato.>>
<<Non è vero!>>
L’uomo prese un’altra profonda boccata e, resosi conto che della sigaretta era rimasto solo il filtro, la lasciò cadere in terra con nonchalance. Durante i primi tempi della terapia, Marta Vanelli non gli permetteva assolutamente di fumare durante le sedute. Ma poi, quando la dottoressa riprese a fumare, non ci badava più e instaurò addirittura con lui un rapporto confidenziale, un atteggiamento che teneva solo con Sergio. Era per Marta un paziente speciale che le permetteva di sviluppare le sue doti di psicoanalisi, ma allo stesso tempo la terrorizzava perché, spesso, vedeva in lui un pericoloso soggetto che poteva commettere azioni pericolosamente inconsulte.
A volte fumavano entrambi, e a fine seduta la stanza era avvolta da una nuvola di fumo densa come nebbia. Ragion per cui, tutti gli appuntamenti del paziente Sergio, erano gli ultimi della giornata lavorativa.
L’uomo scrollò le spalle.
<<D’accordo ho mentito. Sono solo incazzato, tutto qui. Sono passati parecchi mesi, e rieccomi al punto di partenza.>>
<<Su dai! Dimmi com’è andata, Sergio. Parlami della ghiaia sotto i piedi nudi e delle urla.>>
Il paziente si accese un’altra sigaretta e si preparò a richiamare alla mente la scena di un suo sogno ricorrente:
“Sento piccoli morsi della ghiaia sotto i miei piedi nudi. Ho il desiderio di avanzare ma nello stesso tempo ho paura. Avverto il suono soffocato di un respiro affannoso, più respiri, ma poi il morso brusco dell’angoscia che si calma ed evapora non appena mi accorgo che il respiro è il mio…”
Intanto Marta Vanelli annotava qualcosa sul taccuino rilegato in pelle, sotto la luce fioca della lampada da terra, accanto alla poltrona sulla quale sedeva. La dottoressa era legata alle vecchie tradizioni del padre psicologo, dal quale aveva ereditato la professione. Sergio non aveva mai gradito quel gesto perché le annotazioni davano concretezza alle sue parole, lo facevano sentire vulnerabile, erano prove a suo carico.
Il paziente aspirò un’altra boccata dalla sigaretta e proseguì il sogno:
“…Ma poi mi torna di nuovo l’angoscia perché mi accorgo anche del respiro ansimante di un’altra persona, di una donna in pericolo che urla chiedendo aiuto e io sono inerme, non posso aiutarla…”
Sergio spense quel che rimaneva della sigaretta, questa volta nel posacenere e interrompendo ancora il suo racconto, si rivolse schiettamente alla dottoressa, sempre nella semioscurità, senza farle vedere chiaramente il suo viso, in un rituale consolidato per sentirsi più a suo agio:
<<Lo so Marta di avere un grosso problema ma non ho intenzione di mandare a puttane il mio disegno divino!>>
<<Per colpa del sogno? >>
<<No! Per colpa del fatto che sto crollando!>>
Marta sospirò, e nei suoi occhi azzurri comparve un calore che fece infuriare l’uomo. Detestava essere costretto a scoprirsi al punto da sentirsi debole e vulnerabile.
<<Sergio, se vieni qui da me in terapia è perché vuoi che ti faccia guarire dalle tue angosce e quindi devi avere pazienza. Seguire una terapia non è come sistemare un osso. Ci vuole tempo!>>
La dottoressa Vanelli sentì che il suo paziente cominciò ad ansimare e capì, come aveva già fatto in altre sedute, che si sarebbe alzato di scatto e se ne sarebbe andato via nella semioscurità senza neanche salutare.
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