> CAPITOLO 8 < MAGENTA ROSSO SANGUE

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“Sappi, o Principe dei credenti, che c’era in Egitto un sultano, giusto e benefico, ed aveva un visir assennato, esperto, a conoscenza delle cose e della retta maniera di provvedervi. Questi era molto vecchio ed aveva due figliuoli che parevan due lune, il maggiore a nome Shams ed-Din e il minore a nome Nur ed-Din. Il più piccolo superava l’altro in bellezza e leggiadria, e non c’era al suo tempo chi fosse più bello di lui, tanto che, diffusasi la sua fama nel paese, vi fu della gente che si muoveva dalle proprie sedi appositamente per vedere la sua beltà. Or avvenne che il padre morì e il sultano, rattristato dalla sua perdita, si rivolse ai due giovani, li prese con sé, donò loro dei ricchi abiti d’onore e disse che li metteva nel rango del genitore defunto… “

Virginia stava cominciando a leggere la prima storia della raccolta di racconti orientali LE MILLE E UNA NOTTE. Teneva fra le mani un libro pubblicato nel 1948 da Giulio Einaudi Editore che stava leggendo per Antonia coricata a letto. La povera ragazza cieca si addormentò non appena l’assistente lesse la frase… nel rango del genitore defunto…

“Cominciamo bene. Mi sa che dovrò sicuramente prolungare il termine del noleggio nella biblioteca comunale di Abbiategrasso. Non ho neanche iniziato a leggere la prima pagina che Antonia si è già addormentata”, disse fra sé e sé la donna sorridendo. Si alzò dalla poltroncina di fianco al letto, appoggiò il libro su un comodino e uscì dall’appartamento per respirare una boccata d’aria, non prima di raccogliersi a coda di cavallo i suoi lunghi capelli rossi.

L’aria era frizzante, fresca e Virginia ne inspirò il più possibile, osservando nel cielo una luna piena, luminosa che le faceva apparire gli occhi verdi come due smeraldi.
Venne in mente alla donna un canto di Giacomo Leopardi che conosceva a memoria –
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia – triste come nel solito stile del poeta, ma per lei molto emozionante:

“Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa luna? / Sorgi la sera, e vai, / contemplando i deserti; indi ti posi. / Ancor non sei tu paga / di riandare i sempiterni calli? / Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga / di mirar queste valli?”

Virginia sentì anche un buon profumo d’erba del giardino, appena bagnata dall’innaffiatore automatico. Sorrise, pensando che da quando aveva cominciato a frequentare Antonia, stava sviluppando sempre di più le sue capacità olfattive. Nella piena consapevolezza che lei fosse cieca e che avesse le cellule olfattorie più sensibili agli odori, l’assistente, in un certo senso, si dilettava ad allenarsi con lei a chiudere gli occhi e cercare di distinguere gli odori con il suo aiuto.

A un certo punto vide da lontano arrivare un’auto e intuì che fosse quella del vicino Sergio. Il vicino gentile che, in alcune mattine, quando Virginia si assentava per fare la spesa, si impegnava a fare compagnia ad Antonia, però solo all’aria aperta.
Sergio gentile ma imperscrutabile, che non aveva mai accolto l’invito di bere un caffè nella casa della vicina.
Così, quella sera Virginia decise di spiarlo. Si allontanò dalla vista del vicino, che stava sopraggiungendo per collocare l’auto nel box, giusto di qualche metro e, quando da lontano vide accendersi le luci della sua abitazione, ritornò avvicinandosi ad essa. Il cuore della donna batteva a mille per la paura che Sergio potesse uscire a prendere anche lui una boccata d’aria e la cogliesse in flagrante a curiosare nella sua intimità.

Un piccolo passo alla volta e il respiro diveniva sempre più corto e affannoso. Finché si fece coraggio e buttò l’occhio nell’angolino della finestra al piano terra che dava sul giardino, ma a un tratto si spense la luce della camera.

Comunque la luce del lampione sulla strada permetteva a Virginia di vedere la sagoma sbiadita dell’uomo che stava seduto su una poltrona. Quando la donna stette per distogliere il suo sguardo indiscreto all’interno della stanza, si accese una lampada abat-jour da comodino che illuminò proprio il viso di Sergio.

Virginia vide gli occhi del vicino neri come la pece che sembravano fissare lei.
L’assistente di Antonia tornò in casa di corsa terrorizzata.

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