> CAPITOLO 28 < MAGENTA ROSSO SANGUE

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“…Test sierologici? Si stenta a farli per paura. Ventottomila dei centocinquantamila italiani che costituiscono il target dei nostri test sierologici lo hanno già fatto e quarantunomila altri hanno accettato la prenotazione per farlo. Nei prossimi giorni saremo al 50% circa del tampone. Credo che le ragioni per cui si stenta a fare questo test siano insite nell’ansia e nella paura del virus che ha colpito i nostri cittadini. Chiediamo ai cittadini di superarla, piano piano vedrete che ne usciremo…
– Questo è quanto ha dichiarato ieri a Sky Tg24 il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri. Ed ora passiamo a una notizia di sport:

Il calcio italiano è ripartito. La Juventus ha pareggiato in casa per 0-0 contro il Milan, risultato che vale la qualificazione per la finale di Coppa Italia, in virtù del pareggio per 1-1 a San Siro nella partita d’andata.
Prima del fischio d’inizio, le due squadre si sono schierate intorno al cerchio di centrocampo, rispettando un minuto di raccoglimento in omaggio a tutte le vittime del Covid-19. Insieme a loro, in mezzo al campo, presenti anche un medico, un infermiere e un’operatrice socio-sanitaria, in rappresentanza degli ‘eroi’ della pandemia. Le luci sono state abbassate, sul maxischermo la scritta… Ripartiamo grazie a voi…”

Salvatore Longobucco, alla guida della sua Alfa, cambiò emittente radiofonica su una frequenza dove trasmettevano solo canzoni e abbassò leggermente l’audio per poter parlare meglio con la sua collega e compagna di viaggio Appuntato Giovanna Mustacchio:

<<Allora anche lei proviene dalla Sicilia come mio padre, proprio da Palermo? Mentre mia madre è di Salsomaggiore Terme. Io però sono nato a Parma.>>

<<Sì, sono nata a Palermo. Mio padre Calogero faceva il falegname mobiliere per le navi da crociera e mia madre Alessandra la casalinga. Il lavoro non mancava a mio padre, ma quando io e miei due fratelli Antonio e Lorenzo cominciammo a diventare grandi, non c’era molta prospettiva per il nostro futuro. Così Calogero decise di trasferirci tutti quanti a Magenta. Grazie a un mio zio, che si era già trasferito a Milano da alcuni anni, trovarono lavoro mio padre e mio fratello Antonio, nell’azienda dove lui era dipendente. Mentre Lorenzo, che aveva già fatto praticantato di sartoria da ragazzino a Palermo, si sistemò nell’azienda di Giorgio Armani a Milano. Invece io eccomi qua.>>

Mentre la donna parlava, l’ex capo RIS notò che, vestita con abiti civili, sembrava più brillante e gioviale. Aveva proprio l’aspetto della giovane mediterranea siciliana: capelli neri e occhi tondi castano scuri sopra una mascherina nera. Anche l’uomo portava sul viso una mascherina nera.

<<Ormai mancano pochi chilometri per arrivare a Bobbio. È stufa del viaggio?>>

<<Assolutamente no, anzi, da quando siamo usciti dall’autostrada, sto gustando questo magnifico paesaggio collinare. È la prima volta che vengo da queste parti.>>

<<Non appena arriveremo a Bobbio, parcheggerò l’auto prima del ponte pedonale. Lo attraverseremo a piedi, penso che gradirà di fare quattro passi?>>

<<Certo, come no. E menomale che all’aperto possiamo togliere la mascherina, non ne posso più!>> L’uomo annuì.

Longobucco e Mustacchio furono sul ponte. In quel momento passavano poche persone e la donna esclamò:

<<Caspita! Che meraviglia! Sembra di essere dentro una cartolina. Che grazioso paesino arroccato su una collinetta. Oggi c’è poi un bellissimo cielo azzurro di fine primavera, che lo risalta ancora di più. Quel grande edificio storico, col campanile davanti a noi, mi dà proprio l’idea di essere un complesso monastico, vero?>>

Longobucco annuì sorridendo e si spostò verso il parapetto chiedendo a Mustacchio di seguirlo. Si appoggiò al muretto basso guardando verso giù e invitò la donna a imitarlo.

<<Può intravedere che sotto questo ponte ci sono delle arcate. Sono ben undici e sono tutte diseguali fra loro. Questa poca acqua che scorre sotto di noi fa parte del fiume Trebbia. Questo ponte è chiamato Gobbo e anche ‘Ponte del Diavolo’. È stato costruito nel periodo dei romani e periodo medioevale.>>

I due colleghi entrarono in paese, incrociando vari turisti che davano l’impressione di essere perlopiù stranieri.

Si era fatta tarda mattina e, prima di recarsi all’abitazione della donna anziana, con la quale avevano appuntamento, si fermarono in una locanda a rifocillarsi, indossando precauzionalmente la mascherina protettiva.

Arrivarono di fronte a un porta al piano terra, che dava sulla strada, di un edificio d’epoca. Non c’era il classico campanello ma un picchiotto in ottone agganciato alla bocca di un leone stilizzato sempre in ottone.
Longobucco bussò alla porta utilizzando il picchiotto. Nel mentre sorrise al carabiniere, come un bambino che aspettava da mesi e mesi, di poter godere di un giocattolo desiderato. E la donna sorrise con le sue labbra carnose, mostrando un leggera espressione di stupore.
Aprì l’uscio una piccola e grassotta donna mulatta che indossava una mascherina protettiva azzurra.

<<Buongiorno Nidia, la ringraziamo per averci ricevuto subito.>>
L’ex Capo RIS mostrò il suo tesserino di riconoscimento e disse:
<<Questa signora di fianco a me è l’appuntato Giovanna Mustacchio.>>
La badante Sudamericana abbassò la mascherina e fece al carabiniere in borghese un sorriso dopo averlo fatto anche a Longobucco. Ma a Giovanna ancora più luminoso. Un’espressione di letizia fra donne, che gli uomini, in tutta la storia dell’umanità, non avevano ancora compreso fino in fondo.
I due forestieri, dopo che indossarono una mascherina nera, vennero ospitati all’interno dell’abitazione dalla badante, con un cenno della mano. Dentro c’era poca luminosità e tutto era arredato in stile antico e raffinato.
La Sudamericana, che precedeva Longobucco e Mustacchio, verso una stanza, ancheggiava con un abbondante sedere, racchiuso in un pantalone esageratamente attillato. Non passò inosservato all’uomo il posteriore smoderato, ma in questo caso ritenne opportuno non sorridere alla collega come all’ingresso. E così Giovanna non potè intuire l’emozione di Salvatore, in quel frangente.

<<Prego, entrate pure>>, disse l’assistente dell’anfitrione, con uno spiccato accento portoghese.
Gli ospiti entrarono in camera da letto e venne chiusa la porta alle loro spalle. Di fronte a loro c’era una donna molto anziana seduta su una poltrona che aveva sulle gambe una coperta di lana marroncino e indossava una mascherina bianca.

Nella poca luminosità della stanza, Longobucco e Mustacchio non fecero caso all’arredamento, ma si concentrarono sulla padrona di casa, alla quale dovevano fare delle domande.

<<Buongiorno signora Evelina Donati. Sono Salvatore Longobucco, consulente dei RIS di Parma. Cercheremo di non intrattenerci qui per molto. Se non le dispiace, la mia collega appuntato Giovanna Mustacchio tirerà fuori dalla sua borsetta un audio registratore e io le farò delle brevi domande.
La donna canuta annuì con la testa, mostrando il viso, non coperto dalla mascherina, molto rugoso e osservò la forestiera che si avvicinava portando un aggeggio, per lei, di incomprensibile natura.

<<Sappiamo che lei è l’unica residente rimasta di Bobbio, che aveva conosciuto la povera Miriam Maresca quando faceva volontariato in parrocchia.>>
La vecchietta annuì ancora con la testa facendo registrare a vuoto il piccolo strumento.

<<Potrebbe raccontarci, brevemente, quello che si ricorda di lei?>>

L’anfitrione fu costretta a parlare e finalmente l’audio registratore potè fare il suo lavoro. Con voce bassa, lenta e rauca, anche leggermente smorzata attraverso il tessuto della mascherina, disse vari dettagli descrittivi della donna del passato, che lasciavano il tempo che trovavano, ma poi, con un evidente imbarazzo e leggera commozione disse:

<<La povera Miriam era molto molto bella ma affetta da autismo. Ai tempi non era molto conosciuta come patologia e pertanto veniva quasi considerata come una pazza, ma non era pazza.>>

<<Si ricorda se frequentasse qualcuno, comunque, nonostante la sua situazione?>>

<<Si, sì, rammento che lei, poverina, mi diceva che aveva un principe azzurro. E in effetti c’era un uomo che frequentava, un forestiero che era automunito e ogni tanto se la portava via per ore. Ma quest’uomo non aveva per niente le sembianze di un principe azzurro, anzi mi sembrava molto viscido.>>

<<Non si ricorda il nome?>>

<<No, perché non l’ho mai saputo il suo nome.>>

<<Non le risulta nessun altro che la povera Miriam potesse aver frequentato?>>

<<Sì, mi ricordo che aveva un amico. Peccato che non lo considerava, lui, come principe azzurro perché era figlio di un ricco vedovo aristocratico ormai defunto. Mi ricordo che era molto giovane, robusto e faceva anche lui volontariato nella parrocchia, studiava per diventare assistente sociale. Ma poi è sparito completamente dopo la morte per suicidio di Miriam.>>

<<Si ricorda il nome?>>

<<Si chiamava Umberto ma non rammento il cognome. Se comunque andate da Don Giuseppe, vi potrà dare più dettagli su di lui. Ditegli pure che vi ho mandato io e così penso che si attiverà subito, per accompagnarvi a verificare il tutto, negli archivi della parrocchia.>>

Longobucco e Mustacchio furono soddisfatti e se ne andarono ringraziando cordialmente la donna anziana.

L’indagine stava finalmente prendendo una strada giusta.

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