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Cimitero di Monza.
Era un caldo pomeriggio di fine primavera e, di fronte a una lapide, due uomini osservavano la foto di una donna:
Alessandra D’Amico.
<<Caro Samuel, come era bedda to matri. Assomigliava assai a me mogghi Concetta. A so soru.>>
<<È vero ziu, sunnu du gocci d’acqua. Chi destinu bastardu! Moriru tutti dui, cu to frati Calogero, di lu stissu sangu. Quiddi puzzichi di a famiglia D’Amico.>>
Carmelo Benetti si mise a piangere e il nipote cercò di consolarlo abbracciandolo:
<<Sù dai zio. Fatti curaggiu.U sai ca dura soprattuttu pi mia. Si fai accussì, mi fai arricriari brutti ricordi di chiddu jornu ca scappau a la carnizzaria di li me genitori.>>
Intanto trascorse del tempo in cui i due uomini osservavano la lapide e pensavano al passato. Parecchi anni trascorsi di vita, racchiusi nelle loro menti e sintetizzati in pochi secondi.
Il boss ricordava quando lui e il fratello Calogero, giovani mafiosi ambiziosi, conobbero le sorelle D’Amico e le sposarono facendo prima la classica fuitina: rispettivamente Concetta e Alessandra. La cosca dei D’Amico costituita dai loro tre fratelli e il padre, non avevano mai accettato quelle unioni, soprattutto per il fatto che erano in forte contrasto con quella dei Benetti per lo smercio di droga a Palermo, proveniente dal sud America. I due fratelli, con le rispettive mogli emigrarono al nord, a Monza. Carmelo e Concetta non ebbero figli, mentre Calogero e Alessandra concepirono Samuel.
I fratelli D’Amico non si arresero mai, però, all’idea di fargliela pagare alle sorelle per lo sgarro subito.
Infatti Samuel stava pensando al giorno della tragedia avvenuta parecchi anni prima. Con gli occhi spalancati, fissando la foto della madre, rielaborava i ricordi. Si sentiva indifeso e debole, perché gli sembrava di essere tornato per incanto piccolo piccolo, bambino.
Era sull’auto coi genitori, seduto dietro. Stavano andando a una gita sul lago di Como. Avvenne l’agguato. Un camion sbarrò la strada a loro e una motocicletta proveniente da dietro si fermò di fianco ai finestrini che si bucarono e poi frantumarono in mille pezzi. Il sangue dei suoi genitori che schizzò da tutte le parti all’interno dell’auto e anche sul viso di Samuel. E poi silenzio e il bambino pietrificato dalla paura. Ma lui ebbe la fortuna di rimanere vivo perché era piccolo, troppo piccolo per essere giustiziato dagli orchi. Almeno lui scampò alla morte, nonostante altre faide non rispettassero la legge mafiosa che non si potevano toccare i bambini.
Così il piccolo Samuel fu accolto dalla nuova famiglia dei D’Amico perché nelle sue vene scorreva quello della madre Alessandra.
Ma poi ci fu la vendetta e la rivalsa della cosca di Carmelo Benetti che eliminò tutta la dinastia D’Amico e si riprese il nipote ormai quasi adolescente e in pratica divenendo figlio adottivo.
<<Accussì, caru Samuel, dumani parti pi Kiev? >>
<<Sì ziu. Cù stu trafficu d’armi faremu un bellu saltu di qualità, fidatevi.>>
<<Mi fidi, mi fidi.>>
Disse Carmelo Benetti facendo un sorriso pernicioso.
Quel giorno, a Mosca si celebrò il “Giorno della Russia”, con feste ovunque e la riapertura sotto diverso nome e logo dei McDonald’s abbandonati dalla casa madre. Nell’Ucraina occupata proseguirono sia i bombardamenti sulle città del Donbass che il processo di “russificazione” delle città del sud conquistate. Missili vennero lanciati a raffica anche su Melitopol, a Ovest. Intanto si cercò di accelerare il lavorio diplomatico per l’adesione dell’Ucraina nell’Unione europea. La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, chiese unità d’azione dei 27, che avrebbero dovuto riconoscere a Kiev lo status di candidata.
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