CAPITOLO 19 – BLOODY FACEBOOK…LE ORIGINI

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Perché piangere della morte e vivere per non morire? Se sei poi così convinto che qui siamo di passaggio, rallegrati no? Rallegrati della tua morte e non disturbare chi non crede…
#carlobianchiorbis

Dopo sette mesi di guerra in Ucraina, la città di Kiev aveva ripreso una vita per molti versi normale. Il traffico, la gente per strada, la metropolitana che viaggiava secondo i ritmi consueti, le scuole aperte.

Samuele Benetti, a bordo di un taxi, stava notando che, rispetto alla volta precedente di qualche anno prima, in cui si era recato nella capitale ucraina per affari di contrabbando di vodka da esportare in Italia, c’era meno gente del solito, meno traffico.

“Molti pezzenti sunnu ancùora rifugiati all’estero o pi altre regioni dell’Ucraina”, pensò il malavitoso.

La guerra tuttavia continuava a essere una presenza costante nella vita quotidiana. Gli allarmi antiaereo ricordavano i possibili pericoli, facevano fermare i mezzi di trasporto pubblico, chiudere i locali, scendere nei rifugi gli alunni delle scuole. In diversi luoghi si notavano i sacchi di sabbia accumulati a protezione di edifici o i cavalli di frisia messi ai lati delle strade. Lungo le vie di ingresso alla città occorreva passare attraverso posti di blocco fortificati. Ma soprattutto le settimane dell’assedio subìto dalla città all’inizio della guerra avevano lasciato una viva memoria nelle persone che non mancavano di raccontare quello che avevano vissuto.

È un ricordo che accomunava tutti e di cui tutti sembravano avere bisogno di parlare: dagli anziani che si incontravano per strada ai giovani,
da chi era investito di una responsabilità pubblica e dal tassista che lo stava narrando a Samuel Benetti, comunque indifferente alle sofferenze altrui.

La Comunità a Kiev si era confrontata con le sfide della città durante la guerra. Non aveva mai smesso di essere vicina ai suoi amici poveri, anche nelle settimane più difficili: le distribuzioni del cibo in strada a senza dimora e anziani poveri proseguivano in tre quartieri della città, Troeshina, Darnitsa, Goloseevo, oltre che al centro, a Majdan e alla stazione.

Mentre il tassista, dai folti baffi neri, parlava con un buon italiano, Benetti guardava fuori dal finestrino come se le disgrazie umane fossero per lui una noiosissima routine. Ma il cliente notò che il cittadino ucraino era molto informato e aveva una più che ottima preparazione culturale:

<<Due appartamenti di quel palazzo che ospitano persone senza dimora hanno continuato a essere case di accoglienza; la sede dei giovani per la pace, prima di essere colpita da un missile, ha dato rifugio a una ventina di persone e oggi, quasi del tutto risistemata, sta per riprendere la sua vita; aiuti alimentari e medicinali sono arrivati regolarmente a due grandi istituti per anziani; alcuni anziani e persone con disabilità sono state evacuate nel mese di marzo e oggi sono ospitate dalla comunità in convivenze familiari a Leopoli e Ivano-Frankivsk: in tempo di guerra si è paradossalmente realizzato un sogno, che vuole essere un modello per un nuovo futuro, anche a Kiev dove le convivenze saranno trasferite, quando sarà possibile.
Sono state aperte nuove sedi e sono nati nuovi servizi.
A Troeshina, grande quartiere di periferia di circa 300.000 abitanti, dove la comunità all’inizio degli anni novanta ha mosso i suoi primi passi, è stata aperta una sede. In questo centro del quartiere, in un edificio originariamente destinato ai servizi tecnici, ristrutturato dalle persone della comunità, due volte a settimana vengono accolti i profughi dalle zone di guerra. Tante sono le madri con bambini. L’accoglienza sorridente e la disponibilità all’ascolto aprono uno spazio di confidenza di cui c’è bisogno: i racconti delle sofferenze della guerra, le lacrime, i gesti di vicinanza e consolazione stabiliscono un nuovo rapporto di fiducia. Alcune donne profughe si sono unite all’impegno di solidarietà e hanno iniziato a venire al centro per dare una mano ad accogliere, a preparare i pacchi, a confortare.
A Kiev in questi mesi sono arrivati non pochi profughi dalle regioni orientali e meridionali del paese, dove si combatte. Sono circa 120.000 i rifugiati registrati ufficialmente, ma verosimilmente la loro cifra è intorno alle 300.000 persone. Vivono nella città e nei sobborghi, da parenti o conoscenti, oppure ospitati negli appartamenti lasciati vuoti da coloro che hanno lasciato la città; altri affittano abitazioni. La gran parte è rimasta senza stipendio, fa fatica a trovare un nuovo lavoro, mentre i risparmi si assottigliano.
Trovare il modo per essere vicini loro, per rispondere alle loro domande è una priorità per la comunità a Kiev. Si è deciso così di aprire un’altra sede nel quartiere di Darnitsa per farne un altro spazio di accoglienza per i profughi. I locali belli, luminosi, dalle pareti colorate, che ospitavano un centro per bambini, sono vicino alla stazione della metro. Dalla metà di agosto due volte a settimana accolgono i profughi e il centro sta per essere aperto un terzo giorno. Giovani di Kiev e donne rifugiate sono coinvolti in un clima gioioso e fattivo. In un mese sono stati consegnati circa 1200 pacchi alimentari. Un’atmosfera di serenità accoglie le persone. Vengono da Charkiv, Lisichansk, Mariupol, Cherson, Donetsk, Mikolaiv, città i cui nomi abbiamo imparato a conoscere in questi mesi di guerra. La preghiera alla fine della giornata raccoglie tanti, accomunati dal bisogno di un orientamento.
Ora siamo a Irpin’ che è un centro residenziale di circa 60.000 abitanti, un sobborgo di Kiev. Una cittadina graziosa immersa in un bosco di pini e querce, con parchi curati, luoghi di cultura, sculture nelle strade. Il tratto gentile dell’ambiente è stato deturpato dalle grandi distruzioni provocati dai bombardamenti e dai combattimenti durante l’avanzata dell’esercito russo verso Kiev. La visita di Irpin’ colpisce: impressiona la forza di distruzione della guerra, la sua follia. Qui circa 400 persone sono state uccise.
Alcune persone della Comunità che risiedono a Irpin’ hanno vissuto la sofferenza di quei giorni: il tempo trascorso nelle cantine o nei rifugi mentre erano in corso i combattimenti, la fuga rischiosa verso Kiev, l’appartamento di una di loro distrutto dai razzi. Proprio a Irpin’ Sant’Egidio ha voluto dare un segno di speranza. A cominciare dai bambini, che hanno sofferto particolarmente l’impatto della guerra. Intristiti e spaventati. I Giovani per la Pace a giugno hanno iniziato con una grande festa per bambini e famiglie in uno dei tanti parchi della città, la Scuola della Pace a Irpin’: un luogo di serenità e di pace, in mezzo a tanto dolore, una visione di un nuovo futuro.
La comunità a Kiev resiste alla guerra, immagina e inizia a realizzare un nuovo futuro, pone le prime pietre dell’edificio della pace, la cui urgenza e la cui attesa sono sempre più impellenti.
L’emozione dell’arrivo è diventata la speranza e la fiducia con cui partiamo da Kiev.>>

Il tassista, al termine della sua esauriente testimonianza vide che il suo cliente si era addormentato, scosse la testa e disse:
<<Siamo arrivati alla Caserma signore!>>

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