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Il sole era appena sorto da qualche minuto. Era un sole di ridente primavera.
Come sempre e da sempre, l’animo della gente si augurava che il vento della migliore stagione dell’anno portasse profumo di beatitudine, i ricordi di visi dolci. A Monza, sui prati d’erba fresca di eterni riposi, le impronte di luttuosa attesa, speravano ancora in una rivalsa che rischiava di divenire sempre più tardiva. Pesi di tragedie che facevano un azzurro del cielo di colore insolito. Anime erranti salivano sù, sempre più sù per raggiungere le rondini ma le rondini mancavano e un corvo nero le respingeva portandosele sopra i tetti delle case luridi di smog ed escrementi.
L’animale si allontanò dal centro cittadino gracchiando, come per annunciare un presagio malefico che si stava avverando nella città lombarda.
” Rape me
Rape me, my friend
Rape me
Rape me again
I’m not the only one
I’m not the only one
I’m not the only one
I’m not the only one…”
Una canzone grunge dei Nirvana proveniva da un capannone industriale abbandonato. Musica e parole venivano emesse da una vecchio radio registratore portatile Grundig, appoggiato sopra un tavolo di metallo arrugginito. Di fianco, un treppiede sosteneva uno smartphone che stava riprendendo un qualcosa di animato. Un dito indice appartenente a una mano ricoperta di un guanto di pelle nera pigiò il tasto stop dell’apparecchio di riproduzione sonora. Si sentì una voce da uomo camuffata da un distorsore sonoro:
“Sono Atropo e in questo preciso momento spezzerò la vita di Valentina”.
La ragazza era seduta con le mani e i piedi legati come una prigioniera di guerra di fronte al treppiede.
Aveva anche la testa bloccata, con una fascia, a un semiasse di legno posto in verticale dietro la schiena.
La bocca della giovane donna era tappata da un nastro nero telato che non le permetteva di urlare, di poter chiedere pietà al suo carnefice, ma la costringeva a tenere tutta per sé i gemiti di pianto e disperazione. Mentre Atropo stava mettendo in atto la sua spietata esecuzione, Valentina era pietrificata dal terrore ed era già l’immagine decadente della vittima predestinata al macello. Le parole pronunciate dal boia e la scena brutale erano in video diretta su Facebook. Le stesse sarebbero bastate a segnare per sempre la sua vittima, anche qualora un evento soprannaturale l’avesse salvata. Seppur nel profondo dell’animo non credesse ai miracoli, la donna sperava con tutto il cuore che potesse succedere un fenomeno straordinario, che un angelo scendesse sulla terra in quel preciso istante e la salvasse dal demonio che la stava soggiogando ancor prima di ucciderla. Mentre alla vittima scendevano le lacrime dagli angoli dei suoi occhi castani, Atropo si avvicinò pian piano verso di lei destreggiandosi in una danza macabra e tenendo nelle mani una forca di metallo lucente. Il danzatore crudele sembrava fiero di quello che stava compiendo e si sentiva come un samurai che si stava accingendo alla battaglia del millennio.
A Valentina, in quel brevissimo lasso di tempo di esecuzione sommaria e surreale, non rimaneva ormai che rivolgere il suo ultimo pensiero ai suoi cari più stretti e così cercò di pensare a qualcosa di bello che la legasse a loro, come se fossero lì con lei a consolarla da un castigo di non ritorno. Le venne in mente una ninna nanna che le cantava sua mamma, quando non riusciva a prendere sonno, perché aveva paura del buio…ninna nanna…ninna nanna bella Valentina mia piccina…ninna nanna…e… le punte malefiche della forca entrarono nelle sue giovini carni e posero fine allo strazio della poverina.
La mano dell’assassino pigiò il tasto play del radio registratore e la canzone dei Nirvana continuò da dove era stata bloccata:
“…Hate me
Do it, and do it again
Waste me
Rape me, my friend
I’m not the only one
I’m not the only one
I’m not the only one
I’m not the only one
My favorite inside source
I’ll kiss your open sores
Appreciate your concern
You’re gonna stink and burn…”
E Atropo parlò mostrando al popolo di Facebook il suo volto mascherato da diavolo mettendosi davanti allo smartphone e affinché si vedesse il cadavere esamine e sanguinante:
“Amo le violenza, lo so è la mia malattia se malattia è.
La violenza mi dà l’ispirazione per continuare a vivere
e a credere che sia la cosa più bella al mondo. Adorate con me, amici, questo bellissimo momento e così attenderete speranzosi il mio prossimo atto violento….”
E passò il giorno, un giorno che Valentina non avrebbe più vissuto, come tutti gli altri giorni all’eternità.
E poi venne la notte e altri notti che per la giovane donna non avevano più significato. Ma le carni putrefatte del suo cadavere erano ghiotteria per gli insetti e i vermi che cominciarono a dare vita alla vita ad altri esseri immondi. Momenti di gloria anche per loro, in un’infinita lotta, mai dichiarata, contro gli esseri che amavano definirsi umani.
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