Greek Love – L’Amore Greco – Chapter 31
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Sono passate parecchie ore e siamo sempre tutti e tre qui: io, Iris e mio padre, seduti con la schiena appoggiata al muro e le mani legate dietro alla stessa. Siamo in una stanza semioscura, sita probabilmente in un seminterrato di uno stabile sull’isola di Kos, perché quando ci hanno rapiti e incappucciati a casa di Dimitra e portati qui, su un automezzo, è trascorsa poco più di mezz’ora. Siamo in attesa che torni la madre del mio amore greco, col riscatto e credo che siano passate sicuramente più di ventiquattr’ore e sono molto preoccupato per mio padre perché si rifiuta di mangiare. Il suo stupido orgoglio gli impedisce di farsi imboccare da Iris. Spero in cuor mio che Dimitra riesca a racimolare il denaro chiesto dai sequestratori, altrimenti il primo a soccombere sarebbe inevitabilmente Giulio. Già debilitato e più vecchio, non reggerebbe a delle eventuali torture dei rapitori. Ha smesso pure di parlare, nonostante i miei tentativi di abbassarmi umilmente a riconciliarmi con lui. Tuttavia, almeno io e il mio amore greco cerchiamo di pensare ad altro, di distrarci da quella terribile e drammatica situazione, parlando del nostro passato, di avvenimenti belli vissuti. Quanto meno, in questa circostanza, parliamo un po’ di noi, visto che abbiamo passato la maggior parte del tempo insieme a fare sesso e a parlare di sesso, in tutti i sensi.
<<Come avrai sicuramente saputo da tua madre, io ho avuto una bruttissima infanzia, vissuta nelle favelas di San Paolo>>, dico a Iris, mentre osservo mio padre sempre come se fosse in trance, questa volta però con la nuca appoggiata al muro e gli occhi chiusi. E rifletto anche sul fatto che Giulio, quando chattava, tempo prima, con Dimitra, chissà quante cose le avrà raccontato su di me, per fare colpo ed entrare in un rapporto confidenziale con lei. Crollo il capo e continuo a parlare a Iris, consapevole comunque che mio padre ascolta, anche se fa finta di estraniarsi dalla nostra conversazione:
<<Nonostante sia nato senza mai conoscere i miei genitori e passavo da una famiglia all’altra, come se fossi un oggetto da vendere al miglior offerente, serbo nel mio cuore e nella mia mente, un dolce ricordo di una donna che, appena poteva, quando il proprio marito era fuori casa, mi leggeva una bella fiaba. Si chiamava Fernanda ed è stata la madre, diciamo così, adottiva più brava con me. Se non poteva evidentemente sostenermi con la giusta dote materiale, appena appunto c’era l’occasione, mi dava almeno un poco di affetto materno, poiché suo marito era molto cattivo.
Mi ricordo ancora una delle fiabe che mi leggeva prima che io mi addormentassi. Era la più breve e comunque quella più bella, anche se triste:
“Un giorno le donne del villaggio erano andate a raccogliere il mais. Ad aiutarle era andato anche un bambino, che trovò molte pannocchie. Il fanciullo rubò un’incredibile quantità di chicchi e li nascose in tubi di bambù, che portò alla nonna, pregandola di fare un dolce di mais per sé e per i suoi compagni. La nonna li accontentò, e i fanciulli mangiarono a sazietà. Per nascondere il loro piccolo furto e temendo la collera dei genitori, i fanciulli fuggirono in cielo arrampicandosi lungo una liana nodosa che l’uccello mosca aveva fissato in alto. Le donne tornarono al villaggio e cercarono i fanciulli. Una di loro vide la liana e la fila dei bimbi intenti ad arrampicarsi. Le madri, sconvolte, li seguirono, ma il ladro, che era l’ultimo della fila, tagliò la liana non appena giunto in cielo. Da allora, per punizione, i bambini sono stati trasformati in stelle, costretti a guardare il dolore delle proprie madri.”
<<Ma è bellissima amore mio, triste ma molto bella>>, mi sussurra Iris, mostrando i suoi bellissimi occhi scuri lucidi. Mentre noto che a mio padre scendono delle lacrime sulle sue guance. Non dice niente e io decido di lasciarlo stare, di non insistere più in un dialogo chiarificatore, fintanto che non lo desidera lui.
Anche io mi ricordo di una fiaba che mi raccontava mia madre, quando invece ero già più grandicella, poco prima dello sviluppo. Mi consolava per la mia dubbia identità sessuale che poi ho ovviamente accettato:
“In un tempo lontano lontano, gli uomini erano di tre sessi, cioè maschi, femmine e androgini; questi ultimi presentavano in contemporanea caratteristiche maschili e femminili. Il maschile era nato dal Sole, il femminile dalla Terra e l’androgino dalla Luna, che ha parte della natura del Sole e parte di quella della Terra. Avevano tutti una forma sferica e si spostavano rotolando, proprio come delle palle. E avevano tutto doppio: testa, arti, occhi…Il fisico era possente, forte e vigoroso perché completo e perfetto. Questo faceva sì che fossero invincibili, persino nei confronti degli Dei. Una volta, tanta la prestanza fisica, tentarono persino di scalare l’Olimpo per impossessarsi del potere sulla Terra. Avevano anche grandi sentimenti e tutti ben equilibrati, proprio perché fortemente accentrati in se stessi. L’inconveniente di questa perfezione era l’arroganza con cui si ponevano nei confronti del mondo: sapevano di essere unici e speciali, quindi erano convinti che nulla mai li avrebbe messi a dura prova. Gli Dei, dal canto loro, ammiravano queste creature perfette, sì, ma cominciavano ad avvertire un certo fastidio per il comportamento sfrontato e irrispettoso. Fecero congresso e se ne lamentarono con il padre Zeus. Zeus ascoltò attento le parole degli altri Dei, ma non era poi così convinto di voler annientare l’Umanità, c’era affezionato in fondo. Finalmente Zeus ebbe un’idea e disse:
-Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi-.“
Quindi, a colpi di saette, il padre degli Dei separò gli uomini, esattamente come si fa con una mela. Li tagliò alla perfezione, facendo sì che dal sesso femminile nascessero due donne, dal sesso maschile due uomini e da quello androgino venissero fuori un maschio e una femmina. Il potere era salvo, perché l’umanità, così combinata, era decisamente più debole e insicura. Poi, però, Zeus notò che c’era qualcosa che non andava per il verso giusto: gli uomini si stavano lasciando morire di fame e di inedia perché, fortemente scossi da quella scissione e pure infreddoliti, non facevano altro che stare attaccati ciascuno alla propria metà. Ogni umana attività era sospesa e presto la specie si sarebbe estinta. Quindi Zeus li disperse per il mondo, affinché riprendessero le normali occupazioni di sempre; si sarebbero congiunti e amati solo quando Eros li avrebbe guidati a rincontrarsi e riconoscersi.”
Rimango colpito dalla grande memoria di Iris e la osservo senza dire niente ma lacrimando a dirotto, in silenzio. Poi guardo mio padre che ha il capo chinato e non riesco a vedere il suo viso perché è rivolto verso sinistra. Per cui non capisco il suo stato emozionale e poi mi addormento, affranto e stanchissimo.
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Molto toccante
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