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Andrey Bykov si tolse la protesi all’avambraccio sinistro e continuò a parlare.
Un fremito nubiloso attanagliò il cuore di Federico che stava osservando il seguito del video messaggio. Suo padre aveva rischiato la vita per lui e pensò al dolore atroce che avrebbe sicuramente provato, spezzandosi il braccio, dopo essersi lanciato nel dirupo sulle montagne in Valtellina. Aveva rischiato la vita per il figlio perché era in pericolo, a causa della sua sete di vendetta, ma si prese carico, impavidamente, della salvezza di Federico.
“Caro figlio, ringrazio il destino che mi ha fatto incontrare tua madre Elisabetta e ho dei ricordi bellissimi vissuti con lei, in quella meravigliosa località che è Fiesole, sopra la bellissima Firenze.
I giorni trascorsi insieme a lei non sono stati molti, ma intensi e ci siamo amati tantissimo. Abbiamo vissuto l’estate fiesolana. C’era una luna piena sul teatro romano, in una di quelle sere, che illuminava tutta l’area archeologica, che si ergeva su un panorama collinare mozzafiato. Si aveva voglia di starsene semplicemente seduti sulle gradinate della cavea a godersi lo spettacolo. L’emozione era forte e forte la sensazione di trovarsi in un luogo geometrico ideale, che dominava oltre il vuoto. Oltre la possente cinta muraria si allargava lo sguardo, anche su boschi e monti, su Pian del Mugnone e l’Olmo, Montesenario e le Caldine. Le musiche incantevoli dei fiati e degli archi dell’orchestra, facevano da cornice alla nostra passione amorosa. Ascoltammo meravigliose composizioni di Giuseppe Verdi: il Nabucco, la Traviata, il Rigoletto, l’Aida e il Requiem. Un’atmosfera che raccontarla ora, caro Federico, mi sembra di riviverla come se fossi là, a Fiesole, ritornato parecchi anni indietro nel tempo.
Poi ci fu anche Giorgio Albertazzi che lesse al pubblico delle poesie d’amore.
Una in particolare colpì i nostri cuori e io e tua madre ci baciammo con grande trasporto.”
Andrey Bykov prese un foglio piegato dalla sua tasca con la mano destra.
“… eccola qua, l’avevo scritta nei giorni a seguire in biblioteca, perché mi era molto piaciuta. È di Giuseppe Ungaretti e si intitola DOVE LA LUCE
– Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del male e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d’ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.
Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov’è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d’oro.
L’ora costante, liberi d’età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo –
Passarono i giorni, sere e notti indimenticabili d’amore con Elisabetta e anche ore di spensieratezza con i suoi simpatici amici studenti. Sempre fuori dall’osteria, sotto le stelle a cantare e suonare belle canzoni italiane ma anche straniere dell’epoca. Facevo sinceramente poi fatica a conciliare la mia missione di spionaggio e la vita normale di studente. Tanto è vero che mollai un po’ il pedinamento sul professore americano e il mio referente del KBG mi faceva pressione affinché facessi dei rapporti al mio governo russo, più sostanziali, più significativi, riguardo la spia statunitense.
Il tempo stringeva e, ahimè, la situazione precipitò, sia con la mia missione che con la mia storia d’amore con tua madre.
Una notte entrai nell’abitazione del nemico, ubicata nella periferia di Firenze per carpire, una volta per tutte, qualcosa di interessante sul suo incarico segreto.
Ero convinto che fosse uscito a cena con degli amici, ma in realtà scoprii poi che l’uomo era un suo complice. Si era perfettamente camuffato come il professore. Quest’ultimo si era accorto che lo stavo spiando. Mi trovavo in una stanza a rovistare tra i cassetti quando sentii dietro di me:
<<Voltati bastardo russo alzando bene le mani.>
Mi si raggelò il sangue nelle vene e pensai che per me fosse finita. Mi girai lentamente mentre venne accesa la luce e vidi quell’uomo, con lo sguardo impassibile e occhi azzurri e freddi come il ghiaccio, che mi stava puntando una pistola col silenziatore. E mentre stava per premere il grilletto cadde inaspettatamente a terra verso di me, a pancia in giù. Notai che aveva un foro nella nuca e sentii un rumore della porta di ingresso. Qualcuno lo aveva ucciso sparandogli un colpo di pistola da dietro. Questo qualcuno che mi salvò la vita non lo scoprii mai. Rimase un mistero irrisolto e insabbiato da me, perché se l’intelligence russa fosse venuta a conoscenza di quel mio fallimento evitato grazie a un Mr. ics misterioso, me l’avrebbe fatta pagare molto cara e adesso non sarei qui a raccontartelo, caro figlio.
Passarono ancora altri giorni ed ebbi una lietissima notizia: Elisabetta era incinta e tu eri nel suo ventre. Sei stato concepito a Fiesole. Per me fu però, al tempo stesso, una notizia anche triste: la paternità rappresentava un intralcio al mio incarico di spia. Con la morte nel cuore, fui obbligato a rientrare in patria, richiamato con urgenza dal mio governo russo. Dovetti mentire a Elisabetta, dicendole che mio padre non avrebbe mai acconsentito al matrimonio, ma che lui l’avrebbe comunque sostenuta economicamente finché fosse stato necessario. Tua madre, orgogliosissima, non volle accettare il denaro e la nostra separazione fu bruttissima.
Negli anni seguenti, venni a sapere dai vecchi amici studenti di Firenze che Elisabetta, ragazza madre, si mise insieme a uno studente proveniente da Monza.
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