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Il padre della vittima Alberto – Giacomo Tagliabue – era un bell’uomo, un tipo atletico, sempre abbronzato. Era molto conosciuto nella città magentina, in quanto fu un discreto pugile in gioventù, che arrivò a un passo dal vincere il titolo italiano nella categoria dei “Pesi Welter”. Ma quel giorno che dovette andare a riconoscere il cadavere del suo primogenito, nell’obitorio dell’Ospedale “Giuseppe Fornaroli” di Magenta, insieme alla moglie Esmeralda, sembrava un malato terminale; come se gli avessero succhiato via ogni forza. Era pallido, spettinato e con gli occhi lucidi e febbricitante. Anche la moglie era una bella donna: molto affascinante e molto curata. Ma anch’essa si presentò sciatta, molto scapigliata, invecchiata di almeno vent’anni, con gli occhi gonfi e arrossati, quasi come se fosse stata presa a pugni dal marito, magari come reazione impulsiva e incontrollata per quello che era accaduto al loro figlio. La grande tortura che scorreva nelle vene e nel cuore dei genitori, era anche la bruttissima consapevolezza che, quel che restava del povero Alberto, non era definitivo per una degna sepoltura, ma sarebbe stato ancora deturpato per l’autopsia.
Il Maresciallo dei Carabinieri Giuseppe Pizzamiglio che stava accompagnando Giacomo ed Esmeralda mantenne sempre l’atteggiamento simile a un becchino. Ogniqualvolta che svolgeva quel compito era ne più e ne meno alla stessa stregua di un necroforo. Aveva fra l’altro il viso pallido, serio e insignificante dell’addetto al trasporto di un defunto. La differenza sostanziale consisteva nel fatto che egli, in veste di Carabiniere, accompagnava i parenti presso il defunto e doveva svolgere l’ingrato compito dell’interrogatorio agli stessi. Doveva recepire, soprattutto nei casi di morte sospetta o omicidio, gli ultimi movimenti della vittima nelle sue ultime ventiquattrore. Era fondamentale in un’indagine e bisognava farlo velocemente, a scapito dell’usurpazione intima dei parenti o conoscenti addolorati.
Terminato lo strazio del riconoscimento del cadavere, i due coniugi uscirono dall’obitorio e vennero accompagnati dal Maresciallo in uno studio medico al primo piano dello stabile. Il locale venne lasciato a disposizione delle forze dell’ordine per poter procedere con le domande.
Entrarono tutti insieme all’interno dell’ufficio improvvisato, dove c’era ad attenderli l’appuntato Giovanna Mustacchio. La donna militare vestita di tutto punto in divisa scura e berretto in testa con tanto di fiamma argentea, sembrava la sorella gemella del collega Pizzamiglio. Essa accolse i coniugi Tagliabue ancora molto affranti, sempre abbracciati l’un l’altra. Il Maresciallo li divise con garbo e li fece accomodare su due sedie di fronte alla scrivania. L’appuntato era già seduta di fronte a loro, ai quali offrì dell’acqua da bottigliette prese dal distributore automatico dell’Ospedale. Giacomo ed Esmeralda gradirono la gentilezza bevendone un sorso dallo stesso bicchiere, mentre Pizzamiglio andò a sedersi di fianco alla collega. Il Maresciallo cominciò con l’interrogatorio, mentre la collega procedeva alla scritturazione del verbale su un tablet.
Il padre di Alberto, come reazione nervosa allo stato emozionale, fece una sorta di feddura istintiva ai due Carabinieri:
<<Vedo che anche nell'”Arma” avete fatto passi da gigante. Dalla classica macchina da scrivere siete passati al tablet… >> Ma alle sue parole non batterono ciglio e così l’uomo, rendendosi subito conto della battuta impertinente, guardò le pareti bianche intorno, con indifferenza.
Furono poste le domande da Pizzamiglio, le solite domande di circostanza che comunque vengono fatte in talune situazioni. Quelle domande che si sentivano anche nei film polizieschi:
– Sapete se vostro figlio poteva avere dei nemici?
– potreste avere dei conti in sospeso con qualcuno?
– vostro figlio frequentava brutte compagnie?
– l’ultima volta che avete visto Alberto non vi ha dato segnali strani di comportamento?…
E tutte ovvie risposte di circostanza con un laconico no.
Esmeralda scoppiò di nuovo a piangere e il marito Giacomo, abbracciando a sé la moglie, chiese, con tono compassionevole, se potevano tornarsene a casa.
Il Maresciallo Pizzamiglio acconsentì e accompagnò i due coniugi alla porta, convocandoli in Caserma in un altro giorno, per completare il verbale.